cronaca

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I genovesi lo sanno che la loro città è in ginocchio. Lo misurano ogni giorno da quel maledetto 14 agosto, dovunque si trovino e qualsiasi sia la loro occupazione e la loro sensibilità. Non ci vuole molto a capire anche dietro i veli che, un po' per pudore, un po' per un concetto sbagliato di comunicazione, hanno mascherato la confessione del grande disagio.


Non ci devono essere pudori o tattiche dietro il riconoscimento della grande emergenza che Genova vive, sicuro la più grave dai bombardamenti della guerra. Abbiamo attraversato grandi difficoltà, emergenze, tensioni forti ma non eravamo mai stati in una condizione simile di difficoltà.
Quel ponte caduto è il disastro peggiore che poteva capitarci. Ci isola all'interno, divide la nostra città in più parti, come ha scritto bene Mario Paternostro, cambia la nostra vita quotidiana, anche se non siamo direttamente coinvolti, accentua il nostro cronico, storico isolamento, ci impoverisce progressiamente, ci appiccica addosso un'immagine di dolore e sofferenza. Ma riconoscerlo non è un peccato, una mancanza nella possibilità di riscatto, di reazione, che giustamente viene invocata, per primo dal sindaco Marco Bucci.


Anzi, la piena coscienza della difficoltà può essere la scintilla di una mobilitazione collettiva, trasversale, senza distinguo politici, ideologici, sociali di alcun tipo. Si parla tanto di una marcia, di una grande manifestazione che richiami in modo forte l'attenzione di tutti su Genova e sulle sue difficoltà.
Ebbene io credo che alla base di questa mobilitazione c'è proprio quella coscienza, acuita dalle insufficienze del decreto del governo, esasperata dai ritardi nelle decisioni, quarantotto giorni dopo il crak, esacerbata dall'impressione che nulla si muove sotto quel ponte, se non la rabbia degli sfollati, il prodigarsi dei soccorritori, la volontà di ripartire. Il porto sottofinanziato, i fondi stanziati che non arrivano, gli stralci assurdi dei milioni per il Terzo Valico, la cassa integrazione sparita, gli spiccioli per sfollati aziende in crisi.......


Ci sono già date e appuntamenti per manifestare, per dibattere. E va bene, ma bisogna impedire che la protesta, sacrosanta per il fatto che siamo in ginocchio, prenda troppe strade. Ci vuole un evento unico, una mobilitazione forte e unitaria nel senso che copra tutta la città, tutte le sue anime.
Quale migliore occasione per far vedere il nostro spirito, i fondamenti della nostra storia millenaria, dei nostri geni atavici, che mobilitarsi insieme con la dignità che ci contraddistingue, anche con la sobrietà del nostro carattere genovese?


Qui non ci sono giochi da fare tra maggioranza e opposizione, se questi schieramenti valgono ancora nel nostro scenario, ora che le forze di governo in città, in Regione, a Roma si mescolano. Qui non c'è differenza tra le forze sociali, chi rappresenta le imprese, chi i lavoratori, chi è un corpo intermedio e chi la totalità della cittadinanza.
In ballo c'è il “bene comune”, il futuro delle generazioni che sono già in campo e di quelle che sperano di non doversene scappare da questa città per sopravvivere.
La tragedia del ponte ha smascherato un possibile declino di Genova, uno di quei salti indietro della Storia che misurano il trascorrere dei secoli.

Non ci si può fermare su una concessione da cancellare subito, sul nome di un commissario, sul tipo di ponte da ricostruire, sulla rivendicazione di quanto non è stato fatto prima e ancora prima nei decenni trascorsi, sul perchè non abbiamo costruito la Bretella e ci siamo sfiniti a dibattere della Gronda. Le responsabilità vanno accertate dalla giustizia, che lo sta facendo anche più rapidamente e efficacemente di quanto si poteva pensare, in un Paese che ha tempi epici nelle sue vicende processuali e nella ricerca di una verità che troppo spesso non si trova mai e viene rimandata in secula seculorum.


La ricerca delle responsabilità politiche non può diventare un freno a operare oggi. Genova non può restare sotto la montagna di difficoltà che Primocanale ha diligentemente elecato nel suo “punto” sulla situazione. Deve reagire collettivamente e massicciamente, proprio senza avere paura di riconoscere che siamo in ginocchio.