politica

3 minuti e 5 secondi di lettura
 Scorro anche io la lista dei candidati ministri, che cambia ogni giorno e non posso che condividere quello che ha scritto Mario Paternostro: non è vero che quei nomi non contano e conta tutto il resto. Uno non vale uno, anzi. C'è una bella differenza tra un nome e un altro, tra un partito e il Movimento in determinate posizioni. Aggiungo, però, un aspetto, correndo il rischio di apparire un po' sciovinista o, quel che è peggio, provinciale. Ci vuole almeno un ministro ligure, se non due e se questo non sarà possibile almeno un vice-ministro o un sotto segretario.

Se non avessimo avuto Edoardo Rixi come vice alle Infrastrutture non so che sarebbe successo del Decreto Genova per il ponte Morandi caduto, del Terzo Valico e delle altre partite decisive in questa materia. La ferita del ponte Morandi non si è chiusa solo perchè abbiamo celebrato il primo anniversario dalla tragedia e perchè spuntano le pile del nuovo ponte, disegnato da Renzo Piano. La ferita è ancora aperta e la città ha necessità di un collegamento forte con il governo, quale che sia. Ricordiamo che non basta ricostruire il ponte: con questa operazione si torna semplicemente al 14 agosto 2018, ore 11,36, quando il quadro dei collegamenti era già in grande affanno.

Il quadro politico si è scomposto
e un nuovo assetto si prepara con una rivoluzione che solo la politica liquida di questi anni e le sconvolgenti novità della democrazia in una società così diversa da quella del Novecento possono aiutarci a spiegare, almeno in minima parte. Ma gli sconvolgimenti non cambiano le emergenze che la sesta città italiana, il primo porto nel Mediterraneo, il suo sistema infrastrutturale e logistico soffrono da tempo quasi immemorabile: il rischio di un isolamento profondo, la marginalizzazione, la mancanza di una politica postindustriale che mantenga uno sviluppo anche a Genova.  Non voglio citare troppo studiosi di moda anni fa, come, per esempio, l'americano Naisbitt, che nella teoria dei Megatrend spiegava come, in assenza di industria, una grande città con le radici in questo settore si piega, si spezza e poi declina irreversibilmente.


Noi abbiamo la cantieristica e le riparazioni navali che ci tengono -è il caso di dirlo- a galla, ma il resto... Abbiamo passato lustri interi senza una adeguata rappresentanza ministeriale, dopo l'era di Paolo Emilio Taviani e l'assenza di una adeguata voce tra chi aveva in mano le leve di comando è stata pagata a caro prezzo per decenni, isolandoci, facendo ripiegare, riducendo in particolare il comparto industriale dell'Iri quasi ai minimi termini.

Non sono bastate figure per altro rilevanti, come il democristiano Bruno Orsini, sottosegratario alla Presidenza del Consiglio, il liberale Alfredo Biondi, anche ministro di Grazia e Giustizia nel primo e rapido governo Berlusconi negli anni Ottanta del Novecento, il potente Pci e poi PDS e Ds e Pd, Claudio Burlando, ministro dei Trasporti negli anni Novanta e poi, molto più recentemente, la doppietta dei due pd, Roberta Pinotti e Andrea Orlando, a invertire un innegabile declino.


Perchè non basta stare seduti a palazzo Chigi intorno al ferro di cavallo del Consiglio dei Ministri per dare una mano alla città. E' necessario far parte di un assetto che lavora con progetti e obiettivi da finalizzare proprio in quel nobile palazzo romano. Un po' come è successo nel caso estremo del ponte Morandi: una comune unità di intenti, adeguatamente trasmessa a Roma e qui altrettanto adeguatamente rappresentata. Ma esserci è almeno una condizione minima. Per questo motivo spulciare gli elenchi dei candidati ministri e poi dei candidati vice e sottosegretari è un esercizio utile. E anche di speranza.
TAGS