C'era una volta il derby. Per la Sampdoria a lungo fu una questione innanzitutto di legittimazione, in una città dove 53 anni di svantaggio nel radicamento popolare non avrebbero potuto non pesare dappertutto: nei palazzi del potere come in quelli dell'economia, nelle redazioni come negli albi della popolarità.
Se pochi ormai ricordano che la Sampdoria neppure sarebbe dovuta nascere, almeno secondo la lungimiranza di chi non avrebbe voluto veder infrangere un solido monopolio, qualcuno in più avrà memoria della causa civile promossa ai tempi della trasformazione in SpA delle società sportive: un'azione intentata da alcuni dei soci dei sodalizi cofondatori, e che avrebbe avuto in caso di successo l'effetto dello scioglimento della Sampdoria. Il gol segnato in Cassazione dagli avvocati dell'avvocato di campagna, Mario Colantuoni, permise all'Unione Calcio di non fermarsi al 1972. Sette anni dopo, sarebbe arrivato Mantovani; e i successi sportivi del suo breve ciclo, poco più di una decina d'anni su ormai oltre settanta, avrebbero chiuso i tempi delle battaglie di retroguardia.
Che cos'è, oggi, il derby? Se ne giocano tanti, tutti i giorni nei bar e negli uffici e – perché no? - nelle redazioni, che i due veri arrivano quasi per inerzia. Passano e vanno. Tutt'e due le squadre ne hanno vinti, ne hanno persi, alla fin fine poco cambia. Nel 2002 i doriani salutarono i rivali con un «Questo non è un arrivederci, è un addio». Nove anni dopo, ricevettero il contraccambio con un «Non esiste rivincita». Invece siamo tutti ancora qui: abbastanza ammaccati, diciamo pure sfiduciati. Mai come stavolta, certo il vincitore inguaierebbe seriamente lo sconfitto.
Eppure, in casa doriana, non pochi si chiedono contro chi sia, ormai, il vero derby. Da una ventina d'anni ormai serpeggia nel mondo blucerchiato, che aveva fatto della compattezza verso l'esterno un indispensabile strumento di identità e di autodifesa, la sensazione di avere il vero avversario al proprio interno. La traumatica colonizzazione degli ultimi tempi ha fatto il resto. Tutto quello che una volta, vittorie o sconfitte sul campo a parte, contraddistingueva il piccolo mondo doriano dagli antagonisti è infatti finito in frantumi.
Appartenenza, orgoglio, identità: come è bastato poco tempo per rovinare quasi tutto, nell'indifferenza di quasi tutti. Si è creata una faglia irrimarginabile tra i tifosi di mezza età e le fasce più giovani; e questa incomunicabilità inaridisce quello che una volta era un giardino. Che cos'è, oggi, la Sampdoria? Nessuno sa più la risposta. Che cosa sarà tra un anno, due anni, cinque anni? Nessuno vuole provare a rispondere. Il derby potrà essere vinto come perso, è la sensazione di molti, ma poco ormai cambierà in uno scenario che dallo scorso 7 ottobre è quello di un titolo di Handke, appena premiato con il Nobel: infelicità senza desideri.
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Un derby da vincere ma per la Sampdoria cambierà poco
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