cronaca

Sospeso il volo Genova-Istanbul
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Turkish Airlines che abbandona l'aeroporto di Genova è la migliore, e purtroppo drammatica, dimostrazione di come le tensioni internazionali possano ripercuotersi sulla vita quotidiana delle persone. Anche in luoghi molto lontani dall'epicentro di una crisi.

Che cosa stia accadendo in Turchia ce lo raccontano le cronache. L'instabilità politica del Paese - o se preferite la stabilità forzata imposta dal potere dittatoriale di Recep Tayyip Erdogan - ha provocato il crollo degli affari della compagnia turca, il cui bilancio è entrato in fortissima sofferenza perché i suoi aerei, in partenza e in arrivo, si sono letteralmente svuotati. O quasi. I velivoli che facevano capo a Genova si muovevano con un tasso di riempimento di regola superiore all'80 per cento. Una dimensione che si è ridotta al 50 e forse meno, che sommata alla riduzione registrata negli altri scali ha imposto all'azienda decisioni drastiche, per tentare di rimanere con i conti in sufficiente equilibrio.

La vicenda fa in qualche modo giustizia della disattenzione che spesso i cittadini mettono alle vicende internazionali. E rimette al centro del dibattito un fatto conclamato: oggi nessun Paese, anche quello che si trova nelle migliori condizioni economiche e finanziarie, può permettersi il lusso di ignorare quanto gli accade intorno. Anche se questo "intorno" appare tanto lontano da evitare contaminazioni.

In realtà la globalizzazione ha annullato le distanze geografiche e non c'è fatto che accada in una parte del mondo che non faccia sentire le sue conseguenze ovunque. Nel caso di Turkish Genova e l'Italia pagano dazio, mentre un'altra storia - quella degli attacchi terroristici dell'Isis - ha prodotto, almeno nel brevissimo, effetti positivi.

Se non si vuole peccare di ipocrisia, infatti, bisogna ammettere che l'ottimo andamento della stagione turistica - sia a livello di Paese sia in Liguria - affonda le radici proprio nei tragici attentati che hanno insanguinato l'Europa. Gli italiani hanno preferito muoversi di meno verso l'estero, proprio vedendo negli aeroporti un bersaglio troppo pericoloso. E gli stranieri - vedi in particolare alle voci francesi e tedeschi - hanno scelto il Belpaese per le loro vacanze tanto più quanto facilmente hanno potuto raggiungerlo in auto, col camper, in moto o in treno. Ma anche questo ha pesato sulla decisione di Turkish, facendo emergere l'altra faccia della stessa medaglia.

Sarebbe fuorviante, dunque, pensare che il turismo inteso come attività economica abbia all'improvviso risolto i suoi problemi strutturali, che restano tutti lì. Bisogna lavorare per risolverli comunque, se si vuole che l'occasione tragicamente prodotta dal terrorismo si trasformi in una scelta consapevole fatta dall'esercito dei vacanzieri.

Allo stesso tempo, però, è necessario che l'Italia contribuisca, con il peso che sarà in grado di gettare sul tavolo, alla risoluzione delle tante criticità internazionali che oggi condizionano eccome la vita delle persone. Altrimenti il rischio è che i casi Turkish Airlines si ripetano a getto continuo. E questo ci renderebbe tutti più poveri. Non solo economicamente.