cronaca

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Lo sforzo quasi sovrumano del Paese, che si condensa nella cifra di 400 miliardi stanziati per le imprese contro la crisi da coronavirus, è quanto il governo doveva fare. Non c'è alcuna buona ragione, dunque, perché il premier Giuseppe Conte e la sua maggioranza rivendichino meriti particolari. Fanno ciò che serve e lo avrebbero fatto anche altri, se si fossero trovati al loro posto. Per una volta, cioè, la politica ha fatto una cosa assolutamente normale, perfettamente in linea con le necessità del momento.


Dove, semmai, si parrà la vera capacità dell'esecutivo è da qui in avanti. Non basta scrivere che ci sono 400 miliardi da mettere a disposizione delle imprese. Né basta stabilire che per ottenere fino a 800 mila euro le aziende si potranno muovere presso le banche senza dover esibire garanzie di sorta. Perché ci sarà lo Stato a darle, attraverso le sue emanazioni, prima fra tutte la Sace (Società assicurazioni commercio estero). Bisogna passare dalle parole ai fatti e il punto sta proprio qui. La Sace fa un altro mestiere e in generale la burocrazia italiana è totalmente disabituata a essere rapida ed efficiente.

Sulla carta quei 400 miliardi ci sono, ma perché funzionino davvero nel loro compito di salvaguardare le aziende, i posti di lavoro e l'economia tutta, dovranno essere anche esigibili. Esigibili presto, molto presto. E, tanto per intenderci, non dovremo assistere alla replica del collasso dell'Inps sul bonus da 600 euro, avvenuto appena la settimana scorsa, non decenni or sono.

Allora, fatta una cosa normale, e aspettandosi che l'Ue non si metta di traverso (serve il suo okay all'operazione e l'impasse dell'Eurogruppo sui coronabond non induce all'ottimismo), il governo dovrà farne una eccezionale, considerato l'abituale andazzo italiano. Così come bisognerà stare bene attenti a gestire l'emergenza avendo cura di non essere ingiusti verso alcuni e troppo generosi nei confronti di altri.

Da questo punto di vista non devono passare inascoltate le parole del numero uno di Banca Intesa, Carlo Messina, il quale avverte: "Da noi arriveranno 50 miliardi crediti, ma ognuno deve fare la sua parte e chi ha di più deve dare di più. Quegli imprenditori che possiedono denari in Italia e all'estero li facciano tornare nelle loro aziende e lascino ai più deboli gli aiuti pubblici". Sottoscriverebbero tutti, a parte i soliti i furbetti. Ce ne saranno, speriamo soltanto che siano in modica quantità.

Del resto, l'equilibrio potrà darlo esclusivamente una attenta e corretta gestione della distribuzione dei fondi. Per quanto veloce, da compiersi comunque in modo puntuale: per settori, per categoria, per azienda. Ogni impresa, grande o piccola che sia, vivrà infatti le difficoltà economiche da coronavirus in modo specifico, quasi esistesse un'impronta digitale della crisi. È evidente che i servizi, il commercio e il turismo pagheranno il prezzo più alto. E, dunque, la Liguria sarà una delle regioni più duramente colpite, inutile farsi illusioni. Per gli altri si vedrà.

Di tutte le variabili possibili, e di molto altro, bisognerà saper tenere conto, con il supporto probabilmente decisivo delle Regioni e dei Comuni. In modo efficace, in modo efficiente, in modo rapido. Occorre l'Italia che sembra non esserci, salvo fare improvvisamente capolino quando si scopre sull'orlo del baratro. Così, questa diventa la tipica situazione in cui con un po' di fiducia si può dire che si comincia a guardare alla ripartenza. Il premier Conte prevede di avviarla in due fasi: da dopo Pasqua per le aziende, dal 4 maggio per i cittadini. Ma per arrivare alla ripartenza e poi per proseguire il cammino bisogna restare vivi.