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Il tecnico romano aveva messo la squadra in sicurezza ma voleva garanzie
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 Claudio Ranieri aveva trovato la Sampdoria ultima in classifica a 3 punti dopo 7 partite, nel giorno in cui la CalcioInvest di Gianluca Vialli si ritirava dalla trattativa per l’acquisto del club. Da quel 7 ottobre 2019 il tecnico romano ha rispettato le aspettative sul suo conto, conquistando con talento e mestiere una salvezza con quattro turni di anticipo sulla fine del torneo, disputando l’intero campionato successivo nella colonna di sinistra della classifica. Non male per chi gli aveva dato del “bollito”, come se a 38 anni Quagliarella non avesse vinto la classifica cannonieri e Valverde non avesse conquistato il mondiale di ciclismo.

Sorprende e non sorprende il suo congedo dalla Sampdoria. Sembrava infatti che Ranieri avesse stabilito un’intesa umana ancor prima che tecnica con il suo datore di lavoro, definito “il primo tifoso della Sampdoria” (27 agosto 2020) ed elogiato perché “ha fatto un’ottima squadra” (31 gennaio 2021). Encomi non necessari, sconosciuti ai cinque predecessori succedutisi sotto questa gestione che anzi più volte, come Giampaolo, si erano lamentati di aver ricevuto promesse poi non mantenute. Al tempo stesso non ci si può stupire se Ranieri, vedendosi da un lato proporre una decurtazione dell’ingaggio e dall’altro circolare alternative come Stankovic, Dionisi, Zanetti e Gotti, abbia fatto come Bartleby lo scrivano: preferisco di no. E siamo certi troverà una collocazione adeguata al prestigio, e lo salutiamo riconoscenti, pur perdonandogli a malincuore i derby mai interpretati da derby.

Nell’autunno di due anni fa Ranieri non era nemmeno stato la prima scelta della Sampdoria. Era anzi l’ultima, quella estrema, perché la più costosa. La società aveva sondato Gattuso, ricevendo un rifiuto, per esaminare quindi Pioli Corini e Iachini. Il tecnico romano costava molto, ma era un’assicurazione sulla vita: meglio spendere un paio di milioni che rimettercene una settantina tra diritti e mercato causa retrocessione.
Dire che Ranieri non è stato apprezzato a sufficienza dal pubblico doriano è vero e al tempo stesso falso. Negli ultimi cinquant’anni non c’è infatti allenatore blucerchiato che abbia ricevuto consensi unanimi, tolti i particolarissimi casi di Toneatto e Iachini, da un pubblico esigente e ruvido e cannibale, molto meno “roseto di Nervi” di quanto ami autodipingersi. Anzi, poco roseto e molti nervi con la enne minuscola.

Ranieri lascia ed è preoccupante non il congedo in sé
, in vista di una serie A 2021/’22 che ancora una volta – visto lo spessore delle matricole in arrivo dalla B e di un paio almeno di scampate – non dovrebbe dare problemi perfino a una Sampdoria ridimensionata, quale quella che si annuncia, e rinforzata soprattutto dai fine prestito. Fuoriclasse da cedere non ce ne sono, oltretutto per molti tifosi la partenza di Audero sarà una botta di vita e Damsgaard magari tra un anno o due diverrà Correa o Fernandes, ma al Doria è stato appunto perfino meno dell’argentino e del portoghese. I rientri di Murru, Bonazzoli, Depaoli e forse Caprari e Chabot non sarebbero deprecabili.

Non è strettamente agonistico ma duplice il segnale di allarme che Ranieri lancia separandosi dalla Sampdoria. Il primo aspetto riguarda certo la sua successione tecnica, tutt’altro che semplice. Il secondo riguarda invece le prospettive di una società che mai come oggi naviga a vista, annacquando nel contesto generale pandemico una crisi economica che non sarebbe stata molto meno grave in condizioni normali. Da una parte si programma un taglio lineare dei costi nel nome dell’emergenza, dall’altra chi i suddetti tagli dispone non sembra voler limare - se non altro per dare il buon esempio - appannaggio personale autoattribuito e tenore di vita di altissimo livello. Anzi.

Ovvio che Ranieri scegliesse alfine la scialuppa di salvataggio della propria storia personale, abbandonando una Sampdoria sempre più simile al transatlantico evocato da Soren Kierkegaard: “La nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette al microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”.