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Il futuro di Genova tra progetti e propaganda
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Il primo sogno che Renzo Piano ha regalato a Genova è diventato un incubo. Perché quel waterfront ridisegnato dalla matita del geniale archistar alla fine è rimasto lettera morta. Un monumento all’inconcludenza della classe dirigente genovese. Ora Piano, con la pervicacia tipica dei genovesi buoni, ci riprova. Chiede di non chiamare affresco – porta male – il suo progetto di collegamento del Porto Antico con la Fiera ed egli stesso offre un’alternativa: “Blueprint”. Si potrà anche cambiare il lessico, ma questo secondo sogno rischia di incamminarsi lungo lo stesso percorso del primo. E finire su un binario morto.

Il paradosso è che ce lo spingono gli stessi che enfaticamente lo hanno presentato: il presidente della Regione Claudio Burlando, il sindaco di Genova Marco Doria e il presidente dell’Autorità portuale genovese Luigi Merlo. I 120/140 milioni occorrenti per realizzarlo non sono di per sé una cifra da far tremare i polsi. Ma quando ci spiegano che per tradurre in realtà occorreranno 15-anni-15 allora siamo – per stare in tema – alla fiera dell’assurdo.

Tre lustri sono un’era geologica se e quando si decide di cambiare volto a una città e si tenta di dare una virata per impostarne il futuro. Comprensibile che molte categorie economiche abbiano già fatto sentire la propria voce: “Facciamo presto, altrimenti a che serve?”. Per la serie: se questa è una cura anti-crisi, e può esserlo, il paziente, cioè Genova, deve arrivarci vivo al momento in cui la terapia farà effetto. I tempi indicati non danno questa certezza. Anzi, ne danno una opposta.


Ancora una volta Renzo Piano merita l’applauso per la genialità che dimostra. Ma, ad esempio, quando qualcuno osserva che non c’è alcun cenno, nel suo disegno, sulla sorte del tunnel sub-portuale, non dice una cosa sbagliata. Si può essere d’accordo o non d’accordo su quell’opoera, ma in campo c’è e c’è pure una società per azioni tuttora operativa che presidia l’idea del tunnel. Verrà chiusa perché non se ne fa più nulla? Ecco, qui siamo alla lista delle idee poche e confuse.

E dunque: il “Blueprint” di Piano sembra prima di tutto rispondere a un’idea di spicchio della città dedicato al turismo, inteso come vivibilità, utilizzo di tutto ciò che si muove intorno alla nautica, grande appeal da far crescere con il potenziamento intorno a tutto ciò che ha rappresentato e rappresenta il Porto Antico. Declinando questa tendenza l’archistar ha anche eretto una barriera preventiva per arginare eventuali appetiti speculativi immobiliari: va bene una quota di residenziale, ma in termini di volumetrie tanto si abbatte e tanto si ricostruisce. Non un mattone in più che sia uno.

Benissimo, e ci mancherebbe con tanti scempi ai quali abbiamo assistito negli anni. Ma: Renzo Piano da sempre osserva – e con ragione - che la città non deve ridimensionare la propria vocazione industriale, tuttavia non si va contro questo sano principio domandandosi se le riparazioni navali devono rimanere lì dove sono, e anzi ampliarsi, o se più opportunamente potrebbero spostarsi in zona ribaltamento a mare di Fincantieri. Oppure qualcuno sa già che il ribaltamento a mare non si fa più e quindi c’è poco da discutere e ancor meno da ragionare?

Sono stonature di tal genere ad alimentare lo scetticismo di chi vede destinato a svanire anche questo nuovo sogno regalato da Renzo Piano. E poi, diciamocela tutta: aver presentato ora il progetto puzza tanto di campagna elettorale in chiave di primarie del Pd-centrosinistra e, poi, di campagna per la successione a Burlando. Il quale, in tutta evidenza, dovrebbe rendere conto dei non-risultati conseguiti durante il suo lungo mandato alla guida della Regione Liguria, come fa chiunque arrivi al capolinea di un’esperienza. Invece di compiere questo semplice esercizio, però, Burlando ci squaderna un bel tema di discussione, con la piena solidarietà di Merlo, entrambi elettoralmente parti in causa, visto che la candidatura di Raffaella Paita l’ha concepita il governatore e certo il presidente dell’Autorità portuale la condivide, essendo il marito della “delfina”.

C’è abbastanza da dibattere e chi si ricorda più di spese pazze, Erzelli, Gronda, sanità, bilancio sub judice alla Corte dei Conti, trasporto pubblico al collasso, smaltimento rifiuti in perenne e crescente emergenza e quant’altri argomenti si potrebbero citare a proposito di malgoverno della Liguria?

Conosco l’obiezione: questo è un tipico retropensiero “alla genovese” da parte di chi ha un pregiudizio politico o, peggio, non vuole che si muova nulla. Il gattopardismo non mi risulta che si muoversi. E’ ammuina esattamente affinché nulla cambi. E poi, inevitabile avere un retropensiero osservando quello che ci circonda: mari e monti promessi da un capo all’altro della Liguria, 2 milioni spesi per quattro tappe che porteranno il Giro d’Italia da ponente a levante (non bastava garantirsi la partenza, in questi tempi di vacche magre?) somigliando a un tour propagandistico in piena regola, le strutture regionali utilizzate come macchina elettorale della Paita (registreremo le smentite, perché impiegati e funzionari raccontano solo al riparo dell’anonimato), accordi spuri con singoli discutibili personaggi della politica (anche di centrodestra) pronti a riciclarsi in cambio di una qualsiasi poltrona anche di sottogoverno.

Di fronte a di tutto e di più, il dubbio non è politica del sospetto, è un doveroso interrogarsi. Lo avrebbe dovuto fare anche Doria, ben lontano dal sistema di potere della Regione, ma che nella vicenda rischia di fare la figura di chi si è lasciato strumentalizzare. Come noi stessi del mondo dell’informazione, pronti a dare grande spazio a tutta questa storia. Quando ce l’hai, e qui non potevi non averla, dare la notizia è un obbligo. Ma è anche un dovere scrivere e dire che nessuno è fesso. O che almeno qualcuno non lo è.