È difficile dire come andrà a finire la partita politica che si apre con le urne domenica prossima e si conclude con la chiusura dei seggi alle ore 15 del giorno successivo. Difficile dire, cioè, se l'esito del referendum sul taglio dei parlamentari e le elezioni per i presidenti di sette Regioni (Liguria, Valle d'Aosta, Veneto, Toscana, Campania, Marche e Puglia) potranno incidere davvero sulla vita del governo. Arrivando a farlo cadere nel caso di una disfatta di Pd e 5 Stelle, che pure sono alleati soltanto in Liguria.
Questa ipotesi non è solo di scuola. Sono proprio sicuri, Giuseppe Conte e i suoi ministri, che sarà del tutto insignificante se il numero dei No al referendum dovesse raggiungere non dico la vittoria, ma soltanto percentuali impronosticate? E sarà neutra una eventuale sconfitta dei partiti governativi in tutte le Regioni al voto, o almeno in sei di esse?
In attesa di questo verdetto, bisogna osservare una cosa strana: complessivamente, nella campagna elettorale per le regionali i candidati locali si stanno rivelando migliori dei loro leader nazionali. Voglio dire: ascolti Renzi, Zingaretti, Grillo (o chi per lui), Meloni, Berlusconi e Salvini e ti accorgi che Aristide Massardo, Ferruccio Sansa e Giovanni Toti (che pure ha uno standing anche nazionale con il suo Cambiamo!) si fanno di gran lunga preferire.
Non perché dicono cose più aderenti alla realtà ligure. È persino ovvio e guai se non fosse così. Ma perché proprio risultano più convincenti, sono più freschi nel proporre ricette alternative (Massardo e Sansa) o nel perorare la causa della continuità (Toti). Dai leader, invece, arrivano le solite tiritere, le minestre riscaldate di ragionamenti, discutibili, ripetuti a sfinimento, osservazioni che fanno a pugni con la nostra intelligenza. Tutti loro, i Renzi, gli Zingaretti, i Salvini trattano gli elettori come dei dementi: fanno dichiarazioni rivolte a ottenere un consenso che andrebbe inesorabilmente perduto, invece, se gli ascoltatori-elettori si soffermassero solo un attimo a valutarle.
Ora, non voglio fare la figura del nostalgico e neppure esserlo in concreto. Ma siccome mi è capitato, per ragioni anagrafiche, di vivere anche la Prima Repubblica di questo Paese, ho la sensazione, direi la quasi certezza, che i leader del passato fossero migliori. Se non altro perché meno inflazionati dal punto di vista mediatico. Non facevano del presenzialismo a tutti i costi, cioè, un totem assoluto. E, tanto per essere chiaro, non credo che la differenza la faccia il fatto che in passato i social non c'erano. Probabilmente, sarebbero stati utilizzati in modo meno invasivo e superficiale.
Dunque, teniamoci stretti i nostri candidati. Ascoltiamone le diverse ragioni e votiamoli a seconda di come e quanto aderiscono all'idea di Liguria che ognuno di noi ha. Non lo dico per una logica di equidistanza da neutralità giornalistica: ho più di una sensazione che comunque finisca, per i liguri non finirà male.
politica
Regionali, i candidati liguri migliori dei loro leader nazionali
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