cronaca

Quanto tempo serve a un assassino pazzo per sferrare trenta coltellate? Provate a contare da uno a trenta
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Mi fa una certa impressione vedere la fotografia di via Colombo sbattuta sulle prime pagine dei quotidiani nazionali non per la sua sobria bellezza. Via Colombo, tra l’elegante piazza con il barchile del Genio marino e i delfini capovolti e la casa natale del poeta Edoardo Firpo. E quell’altra lapide che ricorda i poveri morti sotto le bombe del 9 febbraio del 1941. Via Colombo la strada tranquilla dello shopping, il Mercato Orientale da una parte, qualche caffè, la storica bottega Viganego di droghe & coloniali con il pavimento di cementine e il negozio di pantofole della signora Clara.

Mi fa effetto che questa via Colombo dei pedoni, dei vecchi genovesi magari mugugnoni e dei ricordi, sia in prima pagina a raccontare un delitto. Più di un delitto: un femminicidio. Trenta coltellate che hanno ucciso Clara nella sua botteghina di pantofole, che mandava avanti a 69 anni per aiutare il padre anziano e un figlio disabile.

Trenta coltellate in via Colombo, alle sette di venerdì sera, con la strada ancora piena prima del coprifuoco. Quanto tempo serve a un assassino pazzo per sferrare trenta coltellate? Provate a contare da uno a trenta. Nessun grido? Nessuno che sente. Il femminicidio è compiuto. Lui coperto di sangue esce tra le pile di pantofole morbide e comode e percorre via Colombo, magari verso il barchile della piazza, poi attraversa il centro di Genova affollato e sale verso le Mura col proposito di uccidersi. Qualcuno prova a inseguirlo, ma lui riesce a fuggire. Arriva davanti all’ospedale Galliera dove era stato ricoverato per problemi psichici e da dove era stato dimesso. Vorrebbe farla finita, ma viene bloccato e arrestato.

La vittima era preparata alla morte violenta e questo particolare mi sconvolge: si era pagata il funerale per non pesare nemmeno da morta su qualcuno. In molti sapevano delle minacce dell’uomo che l’aveva tormentata e che lei ha aiutato fino all’ultimo. Erano minacce visibili addirittura consumate nella strada.

Genova non può essere una città da femminicidi. Mi sono illuso di questa impossibile sicurezza. Invece Genova è come tutte le altre città italiane dove da alcuni mesi assistiamo a un rosario inconcepibile di morti violente procurate da uomini rovinati e disperati. E donne non solo giovani, che diventano vittime di personaggi spesso definiti “normali” che hanno amato anche troppo.

Come Clara, ammazzata con trenta coltellate tra le pantofole. Nel centro commerciale di una città apparentemente silenziosa, apparentemente normale, apparentemente civile, in una strada apparentemente tranquilla.