cronaca

Nel corso delle indagini emergono altri dettagli
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Il ponte Morandi era un'opera "tutta tappezzata di reti" e "non bisognava fare indagini per capire che i difetti nel tempo potessero evolvere anche repentinamente". A dirlo è Mauro Salvatore, dipendente di Aspi sentito come teste nel corso delle indagini. Sia lui che altri hanno raccontato come avessero messo delle reti per contenere la caduta di calcinacci.

Una soluzione provvisoria che però era andata avanti negli anni come racconta un altro dipendente specificando di "avere sostituito una rete dopo dieci anni perché piena di detriti". Dalle carte emergono altri aspetti. Come la riunione il giorno dopo il crollo a Genova a cui partecipano l'ex ad Castellucci, ma anche l'ex numero tre Michele Donferri Mitelli e l'ex numero due Paolo Berti, insieme ai legali della società e al direttore del Cesi, la società che aveva suggerito ad Aspi di installare un sistema di monitoraggio permanente dinamico sull'infrastruttura.

A raccontare l'incontro è lo stesso Andreis. "La riunione venne monopolizzata da Donferri e ci imputava di essere andati oltre l'incarico affidatoci e di avere suggerito di installare i sensori solo per scopi commerciali. In tale riunione sembrava che Donferri volesse giustificarsi per non aver dato seguito alle nostre raccomandazioni".

Nel corso dell'indagine è stato sentito anche l'assessore regionale alla protezione civile Raul Giampedrone. Il politico viene sentito in merito alla risposta a una interrogazione sulle manutenzioni del Morandi presentata dai consiglieri Paita e Ferrando nel 2017. Giampedrone ha raccontato al pm di avere inviato una richiesta scritta alla società, che non rispose mai, e di avere sentito al telefono l'allora direttore del tronco Stefano Marigliani che lo rassicurò dicendo che non vi era nessun problema strutturale.