Il disorientamento esistente nel PD e in coloro che avevano provato a credere nella scommessa di un partito nuovo merita la giusta attenzione e ci spinge alla discussione dei giorni scorsi. Le difficoltà sono del Partito Democratico, ma lo sono anche della politica in genere. Lo sono di più del PD perché questo aveva generato aspettative un po’ miracolistiche, cioè che con una bella tornata di primarie si poteva rigenerare e addirittura cambiare un intero ceto politico, una tradizione. Anche chi, come il sottoscritto, pur avendo plurime esperienze sociali e prepolitiche, si era affacciato per la prima volta alla politica attiva, pensava che l’impresa fosse sì difficile, ma non così complessa. Effettivamente poi la nostra è stata prevalentemente fusione a freddo. L’intuizione politica dei principali padri fondatori (leggasi Romano Prodi) resta tuttora valida, anche se stiamo pagando forse un’accelerazione tatticistica. Lo stesso ero e resto convinto che il PD “ci voleva, ci vuole, ci vorrà. L’iniziativa di Mario Margini e Claudio Montaldo è un contributo positivo a questo processo e spero e penso che si possa inquadrare come un’iniziativa di “corrente di pensiero”. La sfida complicata è quella di mantenere un partito aperto che decide le cose importanti con le primarie, sempre e non solo quando conviene, insieme ad un partito che esiste, propone, discute, sceglie. Nello scegliere per qualsiasi partito riformista di sinistra si pone un problema irrisolto anche dai nostri gruppi dirigenti nazionali: quello di non essere il partito delle stagioni, se non dei giorni, in cui si è un po’ più di sinistra e di quelli in cui si è un po’ più moderati. Bisogna essere capaci di definire una linea riformista che si regga su sintesi e idee forti, che sia in grado di rendere compatibili Stato e Mercato, libertà e solidarietà, socialità e impresa; che non sia condizionata dalle mode, dalle immagini, dall’emozioni e dalle rampogne; che sappia coniugare, anche a livello locale, lotta alla povertà, diritti sociali e compatibilità economica. Solo così si è credibili con i don Luigi Traverso e i don Paolo Farinella, per fare solo qualche esempio di attualità. Quindi abbiamo bisogno di democrazia e di apertura sempre e comunque, di capacità di proposta e di un forte riferimento all’etica della politica. Le difficoltà che stiamo vivendo e che generano tanto malumore, non possono essere scaricate solo su questo e su quello, ma esigono un’autocritica più diffusa per poi partire con nuovo slancio e un po’ di sano realismo. Alcuni principi sono basilari: no al personalismo e all’autoreferenzialità, sì all’etica della responsabilità e del lavoro di squadra; no al verticismo, alle decisioni di pochi, sì alla crescita della partecipazione concreta e verificabile; no alle divisioni che nascondono disegni di potere, sì alla gratuità di un dibattito franco anche se acceso. Non sento la necessità di “correnti di potere”, ma la necessità che si allarghi la “corrente” di tutti quelli che credono e partecipano attivamente, fuori e dentro il partito, a cominciare dagli organismi, spesso disertati dai più. Ancora oggi la politica rimane la sede dove si possono ricomporre gli interessi e le aspettative dei cittadini, il ruolo delle istituzioni e le grandi direttrici di marcia. In fondo la scelta del Partito Democratico di essere maggioritario è stata una grande scelta perché ispirata dalla necessità di essere responsabili di fronte ad un paese in difficoltà, proviamo noi a essere responsabili rispetto a questa scelta.
Cronaca
Partito Democratico: più democratico, più partito
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