cronaca

Dibattito sulle unioni civili e sul ddl Cirinnà
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Non andró al Family Day.

È sempre un bene che nel Paese cresca un dibattito su questioni di merito che interessano centinaia di migliaia di cittadini.
Un paese che discute, si interroga e manifesta la propria opinione anche attraverso manifestazioni pacifiche che riempiano le piazze è un Paese cosciente, civile e consapevole.

Ho grande rispetto per chi sabato sarà al Family Day, ma non ci andró perché non condivido nè lo spirito nè la sostanza della manifestazione.

Regolamentare le unioni civili è un dovere, non più rinviabile. È sufficiente guardare la nostra società con gli occhi della realtà: le libere scelte individuali di uomini e donne creano legami e rapporti davanti ai quali lo Stato non può restare indifferente. Riconoscergli tutela non toglie alcuna rilevanza al matrimonio, alla famiglia, alla visione del mondo che ciascuno di noi ha.

Il disegno di legge Cirinnà colma un vuoto colpevole nel nostro ordinamento, che arriva quasi ultimo in Europa a riconoscere diritti e doveri di chi convive stabilmente, eterosessuale o omosessuale che sia.

Si è fatto poi un gran parlare della famigerata “adozione del figlio del convivente” detta stepchild adoption, un istituto che la Legge italiana ha introdotto nel lontano 1983 (L.184/1983) e che già oggi è estesa alle convivenze eterosessuali.

Cosa prevede il ddl Cirinnà? Semplicemente che i figli biologici di un contraente l'unione civile potranno essere adottati dal proprio partner, indipendentemente dal sesso dei due contraenti.

Apriamo così alle adozioni omosessuali?No. Prendiamo semplicemente atto che in Italia oggi già esistono genitori omosessuali, e non meritano di essere discriminati.

Ho grande rispetto per chi andrà al Family Day. A condizione che la piazza, qualunque essa sia, quella di sabato prossimo o quella di sabato scorso, non intenda sostituirsi alla libera volontà parlamentare.

Non è negando ad altri le tutele che si difende la famiglia.
Nel riconoscere diritti non c’è nessuna volontà di prevaricare, di escludere, di mettere alla berlina chi di quella tutela non avrà mai bisogno.

Anzi, difendere la legittimità di un diritto, anche quando sappiamo che potrebbe servire ad altri e mai a noi, significa coltivare l’essenza più profonda di quei principi che nel Settecento hanno rivoluzionato l’Europa, e che dovrebbero informare sempre il nostro agire.

Si chiamano uguaglianza e libertà.