Cronaca

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PrimoCanale scopre i musei genovesi drammaticamente vuoti… di pubblico e di attrattiva. E’ una denuncia che non va lasciata cadere, ma deve servire ad aprire una seria riflessione sulla più generale “gestione” delle politiche culturali nel capoluogo ligure. Che cosa è mancato per portare il settore museale-espositivo genovese ai livelli di altre città, che registrano medie giornaliere di visitatori superiori a Genova di cinque, dieci, in alcuni casi quindici volte? A costo di essere provocatori e di fare storcere il naso a qualche purista della materia (quelli – per essere chiari – a cui poco importa la comprensibilità della proposta, preferendo l’appagamento estetizzante della propria “visione”) diciamo che è mancata la capacità di declinare arte, cultura e mercato. Se l’arte e la cultura sono anche , certo non solo, una risorsa, esse vanno promosse, valutate e gestite con una grande attenzione ai costi e al ritorno economico. Per riuscire in questa impresa coniugare mercato e cultura deve significare: capacità di soddisfare bisogni, attenta selezione delle iniziative, qualità nella gestione, impegno nella promozione. A Genova, negli ultimi anni, tutto questo è mancato, con conseguenti punte di autoreferenzialità culturale, con proposte poco popolari, con scarsa capacità di “fare sistema”, con una promozione debole. Dietro il ricco e lodevole calendario di proposte manca ciò che oggi può fare la differenza in qualsiasi proposta di consumo, materiale ed immateriale: le “emozioni”. Manca cioè la capacità di “vestire” le proposte attraverso quella che le moderne tecniche di marketing definiscono come una “specifica esperienza emozionale”, cioè una forte carica d’intensità spirituale. Per essere ancora più chiari e diretti : che cosa ha funzionato meglio nelle recenti proposte culturali genovesi ? La mostra su Fabrizio De Andrè, a dieci anni dalla scomparsa. Un mostra certamente ben costruita, innovativa e non di routine, soprattutto coinvolgente, cioè capace di parlare al cuore e alla mente delle persone, di suscitare emozioni, di sollecitare nostalgie generazionali. Al fondo c’è il recupero di una parte importante dell’identità genovese (la stagione dei cantautori) che ha saputo rivolgersi al più vasto pubblico nazionale. Di questa esperienza, bisognerebbe fare tesoro nell’amministrazione delle politiche culturali, chiudendo finalmente con le iniziative spot ed impopolari (dati alla mano visti i visitatori) per ritrovare l’essenza di una comunità locale che sa proiettarsi, con la propria storia, con la propria cultura, con la sua capacità emozionale, su scenari più vasti. Ed intorno a questo “centro” sa fare lavorare i vari soggetti culturali presenti, a cominciare dall’Università, dal Teatro Carlo Felice, dai Teatri, insieme ovviamente alle istituzioni locali. Ma – ripetiamo – il problema è di riuscire a trasmettere emozioni, costruendo su quelle eventi ed un’idea attrattiva di città. Dove cercare ? Nel Mediterraneo –ad esempio – percepito come modello di cultura, espressione di quelle storie e di quelle civiltà, di cui ha ben parlato De Andrè. Nel viaggio visto come una metafora, ma anche come un’ esistenza profetica e religiosa, capace – come ha saputo fare De Andrè – di scavare nel cuore dell’uomo e nell’anima del tempo. Nella nostalgia che si lascia ascoltare, sia che ci racconti di Genova che di un amore perduto, che di un linguaggio dimenticato, così come con De Andrè, trapasso di tempo, tra destino, memoria e morte. Di queste emozioni vorremmo vedere intessuta una “programmazione culturale” e con essa i nuovi linguaggi della postmodernità. Con queste emozioni Genova potrebbe riscoprirsi e farsi riscoprire, dando ai genovesi nuovi strumenti di identificazione culturale e al turista una ragione profonda e durevole per venire a visitarla, così come fu nel passato, nel tempo dei grandi viaggiatori, che di Genova riuscirono a cogliere l’essenza, se ne innamorarono o la disprezzarono, ma non restarono insensibili al suo fascino.