salute e medicina

Rilanciare in modo concreto la cosiddetta medicina territoriale
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Si è fatto e si fa un gran parlare, in questi giorni, del vaccino anti-covid. Anzi, dei vaccini, visto che saranno più di uno. La stragrande maggioranza di virologi, immunologi, infettivologi e via elencando ci avvertono e ci esortano: fate il vaccino, fate il vaccino, fate il vaccino. Poi, però, guardi un po' di statistiche e scopri che oltre il 30 per cento dei medici non fa il classico vaccino anti-influenzale e che altrettanti, o quasi, sono scettici su quello contro il covid.

A parte il casino che spesso facciamo noi giornalisti, quando cominciamo a fornire notizie che definire contraddittorie è poco, non c'è dubbio che in una siffatta situazione il cittadino sia autorizzato ad avere più di un dubbio. Anche se di principio è favorevole ai vaccini. Sgomberato il campo sulla sicurezza degli antidoti in via generale, un volta che gli enti regolatori si sono pronunciati favorevolmente, resta un'incertezza: posto che ve ne saranno quasi una dozzina, quale sarà il miglior vaccino anti-covid per ognuno di noi? E qui torna in ballo un tema sul quale anche la politica si è molto accalorata a causa della pandemia: la medicina territoriale.

Essa ha varie declinazioni e una riguarda i medici di famiglia. Ecco: siccome ognuno di noi è ignorante in materia, nessuno meglio del medico di famiglia può indicare quale vaccino è più adatto al singolo paziente. Ciò che serve, dunque, non sono mirabolanti campagne propagandistiche a favore della vaccinazione anti-covid, bensì un'azione tecnica ben mirata per cancellare le perplessità che gli stessi medici di famiglia affermano di avere. Non sulla sicurezza, ripeto, ma sulla efficacia.

Una volta convinti loro, saranno essi stessi a persuadere i pazienti, indicando quale prodotto sia migliore in ogni singolo caso. Ascoltando un medico di base, infatti, con facilità puoi sentirti spiegare che in una famiglia di quattro persone potrebbero essere indicati quattro diversi vaccini, proprio per il principio della migliore idoneità del farmaco al singolo individuo. La ormai imminente possibilità di avere dei vaccini a disposizione, dunque, offre anche la possibilità di rilanciare in modo concreto la cosiddetta medicina territoriale. Occorrono investimenti importanti. E uno dei primi dovrebbe riguardare il numero dei pazienti. Oggi ogni medico di famiglia ne può sommare fino a 1.600. Troppi, se davvero si vuole che i pazienti possano essere seguiti in modo adeguato.

C'è chi dice che si debba scendere a 500, si sta ragionando su un più verosimile 700. Di sicuro il taglio va fatto. Ma con l'accortezza di non ridurre, per questa ragione, la retribuzione del medico di base. Siamo concreti: se questo fosse il presupposto, gli ostacoli diventerebbero probabilmente insormontabili. Anche comprensibilmente. Se, invece, il presupposto fosse, come dovrebbe essere, l'innalzamento della qualità del servizio sanitario territoriale, allora le istituzioni non dovranno farne una questione di quattrini. Dovranno spendere di più per spendere meglio. A ben vedere, basterà fare il contrario di quanto avvenuto negli ultimi quindici-venti anni. Ora sappiamo che tagliare e tagliare e tagliare non porta da nessuna parte. Soprattutto se quei tagli li fai in modo cieco.