Politica

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La Fnsi, la Federazione nazionale della stampa, ha indetto una manifestazione sulla libertà di informazione. A tale manifestazione, io non partecipo perché da un anno, e dopo 32 anni di iscrizione, non faccio più parte del sindacato unico dei giornalisti. Ma, soprattutto, perché mi ritengo libero, nei miei 33 anni da giornalista professionista sono sempre stato libero e , per mia grande fortuna, ho avuto editori che non mi hanno mai condizionato, ma con i quali semmai ho discusso, mi sono confrontato e , liberamente, anche scontrato.

Parlo e scrivo, logicamente, a titolo personale e non coinvolgendo la redazione di giornalisti che ho l’onore di dirigere. Penso, guardandomi attorno, di vivere e lavorare in un paese libero, dove si vota serenamente e con grande frequenza, e dove, mi pare, ognuno può dire, scrivere, cantare, recitare, dipingere, quello che più gli garba, rispettando solo un principio: non danneggiare la libertà degli altri.

Proverei anche un certo imbarazzo a scendere in piazza per difendere questo presunto attentato alla libertà di informazione, mentre in molti paesi stranieri la libertà di informazione è calpestata tutti i giorni e, addirittura, i giornalisti che vogliono fare onestamente il loro mestiere, vengono assassinati o scompaiono misteriosamente. E dove tanti giornali che cercavano di raccontare la verità sono stati cancellati.

Se dobbiamo scendere in piazza facciamolo per questi veri martiri dell’informazione e non per quelli che, alla fine dell’anno, incassano dalle aziende per cui lavorano, centinaia di migliaia di euro.

Il martirio è un’altra storia.