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Dietro la modifica dello Statuto votata dal Comune di Genova
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La battaglia scatenatasi intorno alla modifica dello Statuto di Iren ha complicati aspetti tecnici e apre delle incognite sul terreno politico. I primi possiamo tentare di semplificarli così: in passato vigeva la regola dell'equivalenza "un'azione uguale un voto". Ora, per le società quotate in Borsa, come appunto Iren, i soci possono introdurre nello Statuto una sorta di bonus, in base al quale un'azione posseduta dallo stesso soggetto per almeno 24 mesi ha in capo "fino a due voti". Non si tratta di una nuova categoria di azioni, come possono essere le risparmio o le privilegiate, ma semplicemente titoli ai quali viene riconosciuto una sorta di "premio fedeltà".

Con la decisione assunta dal Consiglio Comunale di Genova, dunque, Palazzo Tursi vede raddoppiata la propria forza in seno all'assemblea di Iren. Esattamente come quella degli altri Comuni (Torino, Reggio Emilia e via elencando) insieme con i quali la municipalità genovese detiene la maggioranza della società.

Questo ha una conseguenza diretta che è esattamente quella spiegata dal sindaco Marco Doria: utilizzando lo strumento del "voto maggiorato" introdotto dalla riforma del Diritto Societario, i Comuni potranno vendere una parte del loro pacchetto azionario per fare cassa, senza tuttavia perdere il controllo, nello specifico di Iren.

All'apparenza, dunque, non c'è alcun pericolo di privatizzazione secca dell'azienda. Ma questo non è del tutto vero. Il controllo, infatti, è assicurato solo da accordi parasociali che raccolgono in un patto di sindacato le azioni dei soggetti pubblici ai quali la multiutility fa riferimento. Però, se alla scadenza del patto anche uno solo dei contraenti dovesse chiamarsi fuori, il controllo di Iren andrebbe perso.

Oggi c'è l'assonanza del colore politico (centrosinistra) a fungere da garanzia, ma non si sa che cosa accadrà il giorno in cui questo elemento venisse meno, considerando che nel centrodestra (non solo, in verità) ci sono da sempre molti sostenitori della privatizzazione dei servizi idrico-energetici. E, ancora, pur permanendo il comune denominatore politico, è certo che nessuno dei "pattisti" cadrebbe nella tentazione di una scelta alternativa, se da un investitore privato arrivasse l'offerta di un'alleanza migliore nel rendere più profittevole la società?

Detto ciò, è indiscutibile che dal punto di vista della creazione di liquidità la mossa dei Comuni interessati alla vicenda può avere una sua efficacia. Però va considerato che non incasseranno più i dividendi garantiti dalle azioni vendute e, inoltre, bisogna vedere quale sarà la reazione degli altri investitori, soprattutto quelli esteri. I quali, di fronte a questa alchimia, potrebbero disimpegnarsi, con l'esito di provocare comunque un deprezzamento del titolo Iren.

Infine, e certo non ultimo, è singolare che soggetti pubblici abitualmente schierati, anche per ragioni di cattura del consenso, a sostegno dei piccoli azionisti, qualificati spesso come risparmiatori, mettano in campo una scelta destinata a penalizzare queste persone. Perché se in una società ci sono singole azioni che hanno diritto a due voti, è evidente che quelle con un solo diritto di voto valgono di meno.