politica

L'analisi di Mario Paternostro sul destino dell'ex sindaco e quello della sinistra genovese
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Il mio amico Franco Manzitti mi ha anticipato con il suo puntuale commento (LEGGI QUI) sul trattamento ingrato della politica di allora nei confronti del sindaco Marta Vincenzi, condannata dalla società cosiddetta civile per la spaventosa tragedia dell’esondazione del Fereggiano, prima del giudizio dei magistrati. Abbandonata, soprattutto dai notabili del suo partito, i forti Ds-Pd dell’Ulivo nel 2011, pronti a farla fuori politicamente per rioccupare ruoli e spazi liberati. Probabilmente, se il partito l’avesse difesa (non dico assolta, sia chiaro), la politica genovese avrebbe preso pieghe e percorsi diversi. Quello che era certo è che, fino ad allora, Marta Vincenzi era un leader e come tutti i leader aveva amici veri, amici lecchini e tanti nemici. Il peso che ogni leader politico deve sopportare e reggere con le capacità di governo, di amministrazione e di mediazione.

Allora, da leader, aveva dato una sua impronta (che, personalmente, in alcuni aspetti non mi piaceva) alla politica locale. Aveva al suo fianco figure di ottimi collaboratori e una sua idea di sviluppo della città, dentro la quale il ruolo delle donne non era puramente formale. Penso, per esempio, a Francesca Balzani, grande avvocato della scuola di Victor Uckmar diventata, poi, vicesindaco di Pisapia a Milano.

Dico questo perché, allora, il programma elettorale del 2007 lo fece Marta,
assemblando molte idee raccolte in tutta la città e non fu il programma a andare alla ricerca di un candidato-sindaco. Il partito, non tranquillamente, sia chiaro, ma vivacemente, scelse il nome e poi sul suo nome fu costruito un programma e disegnata un’ idea di città (collaborarono inizialmente anche Renzo Piano e il geniale dirigente Rai Carlo Freccero). La Vincenzi, se ricordo bene, vinse col 51,2 per cento battendo un autorevole avversario quale il professor Enrico Musso che si attestò sul 46 per cento. Bella sfida, davvero.

Ora i nuovi dirigenti del partito dovranno individuare il candidato che il Pd genovese opporrà a un apparentemente imbattibile Marco Bucci. Operazione titanica proprio perché da quando la Vincenzi fu condannata per non avere chiuso le scuole il 4 novembre del 2011 (e da allora fu predisposto il meccanismo automatico delle allerte rosse, arancioni e gialle con annesse chiusure) i sindaci italiani diventarono vittime in balia degli eventi atmosferici, unici responsabili di ogni sciagura sul suolo italiano massacrato da speculatori e anche politici, sindaci che furono spesso sottoposti a inchieste e processi (e condanne) che non avevano senso logico. E chi aveva voglia di mettersi in gioco con un pesante incubo sulla schiena, magari rinunciando alla propria soddisfacente professione, per il cosiddetto bene pubblico? Da qui la costante difficoltà di trovare candidati autorevoli, dei “nomi”, pronti a diventare anche veri leader politici. Da qui lo stucchevole ritornello dei “candidati apartitici e apolitici”, come se politica e partiti fossero sempre e soltanto luoghi di impreparazione, superficialità , o peggio, ruberie. Da qui l’indebolimento della Politica con la P maiuscola.

I nuovi dirigenti del Pd genovese, tutti fortunatamente giovani, dovranno avere la capacità e la libertà, di scegliere un potenziale leader politico che si candidi portando idee e progetti da mettere sul tavolo e discutere con i cittadini anche in piazza. Su questa scelta si giocherà il loro futuro legato strettamente a quello del Pd. Se ci riusciranno bene, altrimenti anche loro dovranno fare le valigie per avere fallito la rinascita a Genova della sinistra democratica. Ora c’è un partito che, nazionalmente, sembra dare piccoli segni di ripresa, ma localmente è sfiancato. Pensate che da Sestri Ponente (esclusa) a Voltri-Crevari non ha a Palazzo Tursi un consigliere comunale che rappresenti le istanze della popolazione di questa vasta ala di Genova, tradizionalmente e storicamente di sinistra, poi rosicchiata da leghisti e Cinquestelle. Restano di sinistra, soltanto le impareggiabili focaccette che erano uno degli assi portanti delle mega-feste dell’Unità che segnavano a settembre la ripresa della vita politica e la forza propulsiva delle elezioni.
Viva Crevari e le focaccette democratiche!