I treni, è stato scritto, hanno qualcosa a che vedere col principio e con la fine. Di certo al meglio simboleggiano la sparizione della classe media, a scivolo verso il proletariato, qualora si esamini la condizione assai discutibile del trasporto locale, a fronte dei crescenti successi delle Frecce, che però nella nostra Liguria vediamo di rado e ancor meno usiamo.
Chi ha la fortuna di nascere in Riviera e la sfortuna di doverne partire, per studiare prima e lavorare poi e intanto magari alla domenica andare alla partita, fa pratica molto presto di quanto binario faccia rima con triste e solitario. L’ora abbondante che ci si metteva mezzo secolo fa, da Sestri Levante a Brignole, è rimasta eguale a se stessa, anche se i locali si chiamano regionali, i vecchi milleporte coi sedili in legno laccato hanno fatto spazio ai bipiano panoramici, nessun treno ferma più a Priaro che forse soltanto i camoglini sanno dove sia, mentre San Michele di Pagana è un fossile e Sant’Ilario esiste più in una canzone che nel reale.
Un viaggio su quei 43 chilometri di ferro e legno e gallerie, ravvivati da squarci di mare e verde ma scanditi da diciotto stazioni, è sempre più spesso una scommessa con l’orologio. La puntualità è quella che è, ormai ci si è fatta l’abitudine a quel tempo sacrificato sull’altare dell’imprevedibilità. Se arrivi in orario ti senti come quello che arriva al casello e scopre che non si paga. Ma la condizione di carrozze e sedili, per colpa – va detto – anche dell’inciviltà diffusa tra l’utenza, è spesso avvilente. Molto spesso sui regionali i servizi igienici sono quasi tutti fuori servizio, sprangati con tanto di apposito cartello; lasciandoti il sospetto che vengano lasciati chiusi per ragioni di economia sulla pulizia, più che per reale disfunzione cui andrebbe comunque posto rimedio. In piena estate, poi, gli impianti di condizionamento infondono nei viaggiatori il sospetto di essere sottoposti in via sperimentale a un procedimento di ibernazione. Non c’è una via di mezzo tra la cella frigorifera e, in caso di guasto, la grotta termale all’afrore di ascella o di cibi pronti consumati dai pellegrini. E siccome la modernizzazione ha portato con sé anche i vetri sigillati, non c’è scampo alla sauna o alla crioterapia.
Ma soprattutto a snervare è la ricorrente carenza informativa sui motivi delle soste fuori stazione, delle interruzioni improvvise del viaggio, dell’accavallamento delle precedenze. Non di rado il viaggiatore ha l’impressione di essere abbandonato a se stesso, ignaro di quel che stia succedendo al convoglio, sulla linea, nel mondo esterno. Eppure continuiamo così, a prendere il treno, facciamoci del male. Anche perché spesso non abbiamo altra scelta. E restiamo ostaggi. Passeggeri in ogni senso.
cronaca
La dura vita del pendolare tra guasti, silenzi e ritardi
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