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La storia della villa che domina l'intera zona del porto dal monte Cucco, ha come sfondo la storia di un intero quartiere, quello di San Teodoro.  Prima della seconda guerra mondiale, quella villa era un osservatorio della Marina Militare e, per questo motivo, durante il conflitto fu uno degli obiettivi sensibili colpiti dalle forze alleate.

I bombardamenti distrussero l'edificio, riducendolo a un rudere, ma questo non impedì a tre famiglie di sinistrati di sceglierlo come propria dimora nell'immediato dopoguerra. Vennero effettuati alcuni lavori di ristrutturazione per rendere l’ambiente più vivibile, ma dopo una quindicina d’anni fu abbandonata e cadde ancora una volta in rovina.

Durante gli anni la comunità aveva costruito un mito attorno a quell’edificio, che si era guadagnato due soprannomi: la “casa del Cucco”, dal nome della collina su cui sorge, e la “casa nera”, dal colore delle pareti, dipinte di catrame. Era un punto di riferimento, un simbolo in cui riconoscersi.

Intanto tra gli anni Cinquanta e Settanta la zona diviene ancora più frequentata. Il quartiere si era esteso, l’urbanizzazione era salita fino alle colline di Granarolo e aveva risparmiato soltanto il monte Cucco e una piccola parte della valle del rio Re. La zona si era popolata di giovani famiglie e di tanti, tantissimi bambini.

Quella valle era sempre stata zona di cacciatori, che si appostavano ad aspettare la selvaggina e la casa nera era diventata luogo di giochi per i bambini. “Era un altro mondo, ora non c’è più niente di tutto questo”, dice Giulio Adorno, che abita a San Teodoro da sempre. “Io ci giocavo da bambino già dopo la fine della guerra”. E i bambini del quartiere hanno continuato a correre per quel bosco e in quell’edificio per anni: la casa nera li attirava, per loro quell’edificio deserto era mistero e scoperta.

Nel febbraio del 1966, la casa nera fu teatro di una tragedia: un bambino cadde in un pozzo artesiano sotto le mura dell’edificio e morì. Il clamore suscitato dall’incidente spinse le famiglie a tenere i bambini lontani da quell’area e i loro giochi si spostarono in altre zone del quartiere. Le gite alla casa nera divennero missioni per i più coraggiosi, che volevano sfidare la paura e il pericolo rappresentato da quei luoghi.

Tutta la comunità rimase colpita dall’evento, tanto che anche la scuola elementare Garibaldi di via Bologna decise di girare un documentario sui pericoli della zona, che vide il coinvolgimento di alunni, maestri e forze dell’ordine. Negli anni successivi il quartiere cambiò rapidamente le sue sembianze. La collina su cui sorge la casa nera era stata sfruttata come cava e, negli anni Ottanta, su quel terreno fu costruito un nuovo complesso residenziale, quello che sarebbe diventato “il Florida”.

La casa invece continuava indisturbata il suo declino. Dopo vari passaggi di proprietà, fu acquistata da privati e, soltanto negli ultimi quindici anni, è stata ristrutturata. Adesso è una splendida villa che si affaccia su Genova, tra mare e monti. E’ visibile a occhio nudo anche dal Porto Antico e una caratteristica la distingue: le sue facciate ora sono rosa. Ma per tutti resterà sempre la casa nera.