cronaca

Un nato su cinque in Liguria è di cittadinanza straniera
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La fase di calo della natalità avviata nel 2008 si ripercuote anche sui primi figli: nel 2019 sono 200.291 (-29,5% sul 2008) e rappresentano il 47,7% del totale dei nati in Italia. Complessivamente i figli di ordine successivo al primo sono diminuiti del 25% nello stesso arco temporale. Così l'Istat riporta nella nota relativa a natalità e fecondità della popolazione residente. Il dato della Liguria supera quello nazionale, si posiziona al secondo posto nel Paese e al primo tra le regioni del Nord.

La forte contrazione dei primi figli rispetto al 2008 interessa tutte le aree, a eccezione della provincia autonoma di Bolzano che,al contrario, presenta un aumento (+1,7%). La diminuzione dei primi figli rispetto al 2008 è superiore a quella riferita a tutti gli ordini di nascita in quasi tutte le regioni italiane del Nord e del Centro, a testimonianza della difficoltà che hanno le coppie, soprattutto le più giovani, nel formare una nuova famiglia con figli. Problematica un po' diversa rispetto all'inizio del millennio, quando la criticità riguardava soprattutto il passaggio dal primo al secondo figlio.

I primi figli si sono ridotti soprattutto al Centro (-34,4%): Umbria (-36,7%), Marche (-35,6%), Toscana (-34,7%) e Lazio (-33,6%). Anche le regioni del Nord registrano diminuzioni significative: Liguria (-35,6%), Valle d'Aosta (-34,9%), Piemonte (-34,8%), Friuli-Venezia Giulia (-34,1%), Veneto (-33,6%), Emilia-Romagna (-33%) e Lombardia (-30%). Al Nord più di un nato su 5 ha genitori entrambi stranieri. Al primo posto tra i nati stranieri iscritti in anagrafe si confermano i bambini rumeni (12.215 nel 2019), seguiti da marocchini (8.687), albanesi (6.684) e cinesi (3.121). Queste quattro comunità rappresentano quasi la metà del totale dei nati stranieri (49,3%). Nel 2019 è di cittadinanza straniera un nato su 4 in Emilia-Romagna (25%), il 22% dei nati in Lombardia, circa un nato su cinque in Liguria, Veneto, Toscana e Piemonte. La percentuale di nati stranieri è decisamente più contenuta in quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, con l'eccezione dell'Abruzzo (10%).

Le regioni del Centro-nord in cui la percentuale di nati da almeno un genitore straniero è più elevata sono Emilia-Romagna (34,6%), Lombardia (31,3%), Liguria (29,7%), Veneto (29,9%) e Toscana (28,7%). Considerando la cittadinanza delle madri, al primo posto si confermano i nati da rumene (15.630 nati nel 2019), seguono quelli da marocchine (11.078) e albanesi (8.425); queste cittadinanze coprono il 41,7% delle nascite da madri straniere residenti in Italia. La propensione a formare una famiglia con figli tra concittadini (omogamia) è alta nelle comunità asiatiche e africane. All'opposto, le donne polacche, russe, cubane e brasiliane hanno più frequentemente figli con partner italiani che con connazionali.

Tra le cause del calo dei primi figli, secondo l'istituto di statistica, vi è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, a sua volta dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell'ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale. L'effetto di questi fattori è stato amplificato negli ultimi anni da una forte instabilità economica e da persistenti difficoltà di carattere occupazionale e reddituale, che hanno spinto sempre più giovani a ritardare le tappe della transizione verso la vita adulta rispetto alle generazioni precedenti.

I nati nel 2019 sono 420.084, quasi 20mila in meno rispetto all'anno precedente e oltre 156mila in meno nel confronto con il 2008. A diminuire sono soprattutto i nati da genitori entrambi italiani: 327.724 nel 2019, oltre 152mila in meno rispetto al 2008. Il numero medio di figli per donna continua a scendere: 1,27 per il complesso delle donne residenti (1,29 nel 2018 e 1,46 nel 2010, anno di massimo relativo della fecondità). Per il settimo anno consecutivo, nel 2019 c'è un nuovo superamento, al ribasso, del record di denatalità attribuibile quasi esclusivamente alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani.

Si tratta di un fenomeno di rilievo, in parte dovuto agli effetti ''strutturali'' indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni. In questa fascia di popolazione le donne italiane sono sempre meno numerose. Da un lato le cosiddette baby-boomers (ovvero le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta) stanno uscendo dalla fase riproduttiva (o si stanno avviando a concluderla), dall'altro le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti. Queste ultime scontano l'effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995.

A partire dagli anni 2000 l'apporto dell'immigrazione, con l'ingresso di popolazione giovane, ha parzialmente contenuto gli effetti del baby-bust. Tuttavia, l'apporto positivo dell'immigrazione sta lentamente perdendo efficacia man mano che invecchia anche il profilo per età della popolazione straniera residente. A diminuire, evidenzia l'Istat, sono soprattutto le nascite all'interno del matrimonio, pari a 279.744 nel 2019, 18mila in meno rispetto al 2018 e 184mila in meno nel confronto con il 2008. Ciò è dovuto anche al forte calo dei matrimoni che si è protratto fino al 2014, anno in cui sono state celebrate appena 189.765 nozze (rispetto, ad esempio, al 2008 quando erano 246.613) per poi proseguire con un andamento altalenante.

La denatalità prosegue nel 2020. Secondo i dati provvisori riferiti al periodo gennaio-agosto 2020, le nascite sono già oltre 6.400 in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Anche senza tener conto degli effetti della pandemia di Covid-19, che si potranno osservare a partire dal mese di dicembre 2020, ci si può attendere una riduzione ulteriore delle nascite almeno di 10mila unità.