politica

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L’operazione di sistematica demolizione del Movimento Cinquestelle (o meglio, il tentativo di demolizione) ha avuto un’ impennata dopo la tornata elettorale che ha in parte punito questa formazione politica. Formazione che, fino a qualche mese fa, sembrava destinata a diventare il “partito egemone” delle scena politica italiana. Un’operazione che vede compatti nell’attacco gli altri partiti, non solo del centro destra, molta parte dei media, quasi tutto il mondo dell’impresa.

Come se tutti i guai che ci sono capitati dipendessero dai grillini. Per esempio il disastro sanitario pre-covid che invece sappiamo bene è opera esclusiva di chi per una ventina di anni ha governato l’Italia e nel caso nostro, di chi ha avuto in mano le redini del governo regionale della Liguria. Soprattutto dieci anni di operazioni di taglio delle giunte di sinistra, aiutate all’ultimo anche dal governo Monti, ossessionate dall’ansia del risparmio sulla salute. Il M5s con queste operazione non c’entra e non c’entra con buona parte delle altre scelte strategiche per il solo fatto, semplice e decisivo, che non era al governo né del Paese, né della Liguria.


Il movimento quando è nato a Genova su forte ispirazione di Beppe Grillo ha avuto un grande merito: quello di convogliare nel suo serbatoio un crescente malcontento sociale che poteva sfociare in manifestazioni molto pericolose. Invece, sull’onda dell’anti-casta, i Cinquestelle si sono compattati, assemblando molte rabbie, rivendicazioni, desideri di farsi giustizia che, senza una regola democratica avrebbero avuto davanti sbocchi incontrollabili. Quando i Cinquestelle criticavano, l’accusa più comune nei loro confronti era questa: bravi, stare all’opposizione è molto comodo…

Quando dall’opposizione, con una sforzo faticoso e per molti militanti doloroso hanno scelto di governare insieme a chi poteva trovare con loro alcuni obiettivi comuni, in questo caso il Pd certamente più della Lega, è partita la campagna denigratoria: non sapete governare. E fin qui a seconda dei punti di vista la critica ci potrebbe stare. Sono convinto che molte iniziative del M5s non funzionino. Che talune posizioni siano assurde come la critica allo sviluppo delle infrastrutture. Ma attaccarli perché avrebbero tradito i loro ideali originari proprio non sta in piedi, detto da chi, politicamente, li ha sempre contestati proprio per la loro intransigente posizione anti-casta.

La crisi nel movimento c’è ed è profonda. E’ anche chiaro che una evoluzione radicale sta accendendo le discussioni dentro il movimento. Come tante volte, senza che ci agitassimo più di tanto, anzi, è successo in tutti i grandi partiti italiani. Allora si chiamava “dibattito democratico interno”. Pensiamo all’antico Pci, che è sempre cresciuto con un’anima riformista e una massimalista tanto da arrivare a cambiare nome, scindersi, affettarsi. O alla Dc che ha governato dal dopoguerra divisa in correnti molto differenti l’una dall’altra e ha messo in piedi governi con ministri democristiani appartenenti a correnti diversissime, dai dorotei ai basisti, con personaggi agli opposti come Donat Cattin e Scalfaro!

Dunque il Movimento sta cambiando senza tradimenti o peggio. Solo si trasforma in un’epoca spaventosa, alle prese con un evento sconvolgente e inaspettato. Forse ce la farà, forse no. Forse è un movimento destinato a svanire o a restare e rafforzarsi proprio come terza forza del Paese. O a salire. Chissà. Viviamo cambiamenti politici rapidissimi.

Certo dovranno cambiare molto anche gli altri, e probabilmente, sepolto il bipolarismo, fare i conti con un M5S di governo, forse senza Rousseau e magari qualche altro marchingegno di ascolto e partecipazione. Cambiamento che toccherà soprattutto i nervi della cosiddetta sinistra. Perché l’unica prospettiva della sinistra è in un accordo (non necessariamente organico come paventa Di Battista) con gli eredi del grillismo che ormai dovrebbe anche cambiare nome.