cultura

Il “Racconto di Genova” e i grandi commercianti che hanno fatto la storia/10
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 Le riprese del Racconto di Genova (da fine gennaio su Primocanale) hanno avuto un ostacolo tecnico con l’introduzione dell’obbligo delle mascherine anti-Covid. Come si può far parlare una città della sua vita, del suo passato e del suo presente nascondendone metà abbondante del volto? Poi il divertimento e la curiosità di arrivare alla conclusione del nostro lavoro ci hanno aiutato a superare l’ostacolo. Una settimana fa eravamo in centro alla fine di via Roma, in quello che si definisce il “salotto buono” di Genova. Il centro commerciale, le strade dei negozi, oggi così angustiati dalla terribile pandemia. Ma i commercianti genovesi hanno nel Dna il commercio. I loro negozi sono storie, leggende, musei e quindi riusciranno a vincere.

Da via Roma scendiamo lungo Galleria Mazzini costruita tra il 1870 e il 1880
. Era un vero salotto arricchito di caffè, librerie, luogo da letterati e artisti, ma anche concentrato di locali alla moda e ristoranti notturni. Quattro Giano agli angoli, fusi con gli altri arredi di bronzo a Berlino, lo stemma di Genova con i grifi sui lampadari che illuminavano questa galleria in salita. Hans Barth scriveva che non era un luogo raccomandato alle signore parlando del ristorante Posta, mentre nella celebre Birreria Zolezi suonava un’orchestrina di dame e nella libreria Ricci giravano D’Annunzio, Nomellini, e gli scapigliati liguri.

Ci sono i grifi di ghisa, era la sede della Posta Centrale, c’era le redazione del Caffaro il giornale che Anton Giulio Barrili fondò nel 1874 e c’era il Caffè Roma dove si trovavano gli intellettuali e i giornalisti. Da Ceccardo Roccatagliata Ceccardi a Salvatore Quasimodo, da Luigi Arnaldo Vassallo il mitico “Gandolin” a Montale e Sbarbaro che poi cenavano nella trattoria di Carlin Pescia. E nel 1943 qui fu preso Riccardo Pacifici il Rabbino Capo di Genova e deportato a Auschwitz dove morirà.

Galleria Mazzini io la ricordo per quattro luoghi: la libreria Hoepli dove un giorno accompagnai il geniale direttore del Lavoro, Umberto Merani, a comperare un manuale per la coltivazione dei funghi champignons, la Celere di Tullio un tempio delle calzature dove mi portava mio padre e dove i signori genovesi si lucidavano le scarpe stando seduti in vetrina, il ristorante Europa dove da giornalista avrei concluso tantissime nottate di “chiusura in tipografia” al Decimonono e, soprattutto, per il vero e unico Signore della Galleria.

Il commendator Savinelli, sulla soglia del suo negozio di pipe, presidiava il lato sinistro a scendere. Agganciava il passante riconosciuto quando questo imboccava la galleria da largo San Giuseppe e scendeva lentamente verso il Carlo Felice e quando le distanze tra i due erano ridotte a pochi metri il commendator Savinelli, in completo grigio con panciotto e catena di orologio pendente, cominciava la sua veloce chiacchierata.

Erano dei tweet ante-litteram sulla città, distillati di saggezza e cultura, frecciate sempre eleganti, editoriali flash: decadenze, la città, il passato e il presente ahimé e la “sua” Camera di Commercio, di cui era monarca assoluto.
Savinelli stava a Galleria Mazzini come il re a cavallo stava più sopra all’aiuola di piazza Corvetto. Era, Giorgio Savinelli, l’esemplare perfetto dell’antico commerciante, antico ma contemporaneo nelle scelte per la categoria e combattivo fino a quando non riusciva a ottenere il risultato sindacale voluto. Conservava una collezione di centottanta pipe provenienti da tutto il mondo. Da quando nel 1876 Angelo Savinelli (me lo raccontò Giorgio il giorno in cui chiuse la bottega) fagottista, maestro di canto e compositore aprì un negozio nella galleria costruita pochi anni prima sulla scia della moda umbertina che le aveva inventate a Roma, a Milano e a Napoli. Dopo Angelo subentrò la sorella Adelaide aiutata dal marito, il francese Teophile Guiraud. I Savinelli aprirono anche a Milano, e negli anni ’50 un altro negozio a Genova in via XX Settembre.

Giorgio Savinelli era qualcosa di particolare. Una figura che sarebbe piaciuta molto a Gilberto Govi: memoria storica straordinaria, battaglia a fianco dei potenti commercianti locali mai condotta in maniera demagogica, la lezione di Callisto Bagnara imparata a memoria e mai dimenticata quando divenne presidente dell’Ascom, l’associazione dei commercianti.

“Il mio secondo hobby – mi raccontò sorridendo sotto i baffi grigi – è la collezione di orologi che io carico a notte fonda. Sono innamorato del tictac che in piena notte ti dice che sono le 3 e mezza e non ancora le 6…”. Mentre ora il commercio di una delle città più commerciali d’Italia soffre, ricordare una figura come Savinelli che appare in Galleria Mazzini può servire come una bombola d’ossigeno mentale.
L’ultimo giorno di lavoro mi consegnò un pacchettino e un quadretto: nel pacchettino c’era un elegante bocchino d’ambra e nel quadretto l’invito a una cena futurista (o finta futurista non lo saprò mai…).

Filippo Tommaso Marinetti a Genova si era laureato in Legge e aveva divulgato il suo Manifesto sulla cucina futurista che lanciava la propaganda internazionale conto la pasta asciutta “assurda religione gastronomica “ che “ci inchioda alla scranna, repleti e istupiditi, apoplettici e sospiranti! Ma nel Rancio Artistico (nella foto) consegnatomi senza commenti da Savinelli, definito anche “Sinfonia a grande orchestra e cori” si annunciano: vini italici, antipasto accademico, pastasciutta metafisica o pastina in brodo impressionista, lonza di vitellina fauvista, con spinaci surrealisti o insalata alla Corbusier, formaggi puntinisti, frutta e caffè alla Sintesi. Coro finale e fuga”.

La paginetta ingiallita contiene una nota finale: “Pregasi prendere nota che le adesioni si chiudono al 3 marzo e non saranno tenute valide se non sono accompagnate dal relativo importo e ciò per una ragione che il Sig. De Lapalisse direbbe…pratica”. Il quadretto mi spinse a approfondire. Così, proprio nell’archivio del Decimonono, trovai un articolo del 16 gennaio 1931. Titolo: I futuristi liguri difendono i ravioli. Diceva: “Ieri sera Marinetti ha inaugurato la Mostra d’Arte del gruppo Sintesi alla galleria Vitelli. Alla fine della conferenza il Gruppo Sintesi ha presentato a Marinetti la seguente supplica”.

“Con l’ardito manifesto sulla cucina futurista italiana avete assalito le sfinite irregolari cucine regionali, che tronfie di gloriuzza provinciale sapevano troppo di rancido, di stantio, di ammuffito. Bene, approviamo! Battaglia alle vecchie vivande, guerra alle scipite pietanze forestiere, morte alla pasta asciutta, viva il carneplastico! Ma per evitare equivoci, noi futuristi liguri abbiamo l’ardire di indirizzarvi la seguente supplica, perché venga pubblicamente dichiarata leale neutralità verso i ravioli, per i quali nutriamo profonde simpatie e abbiamo doveri di riconoscenza e di amicizia……E’ questa la regina di tutte le minestre del mondo scrive il Ratto su La cucina genovese. Minestra, quindi, e non pasta asciutta sono i ravioli e sull’affermazione sacrosanta dei Ratto vi preghiamo di credere e confidiamo con lieto animo, che la presente supplica sarà benevolmente accettata dall’Eccellenza Vostra”. Le firme? Farfa, Gambetti, Gaudenzi (Alf) Lo Duca, Picollo, Pierro, Lombardo, Verzetti, Tullio d’Albisola.

Nel 1938 Marinetti torna a Genova e invita al Lido di Albaro a un pranzo futurista seguaci e giornalisti curiosi. Vengono servite: la polibibita Le Grandi Acque. Ma il clou è il pesce lesso “con sopra gelato di limone”. L’Aerovivanda con sensazioni tattili date da un cartoncino di carta vetrata da grattare. “Al Fruttincarne non abbiamo fatto l’onore che meritava. Per noi giornalisti ci è stato concesso il Porcoeccitato ben innaffiato di profumo e immerso nel caffè. Altra vivanda sorpresa erano le Mammelle italiche al sole, formula della pittrice Mori. E’ venuto poi Uomoedonnaamezzanotte: sintesi pittorica con compenetrazioni di volumi”.
Mi chiedo ancora se quel giorno in galleria Mazzini il commendatore ha voluto fare uno scherzo all’amico giornalista….

(10-continua)