In questi giorni il dibattito politico, e in qualche modo anche quello popolare, è totalmente assorbito dalla cosiddetta "fase 2", cioè la riapertura del Paese. Il 4 maggio oppure dopo, o meglio ancora prima? E tutti insieme, oppure a macchia di leopardo, considerando che la pandemia non ha colpito le regioni in egual misura? E, ancora, bisogna considerarle certe peculiarità, come giustamente rivendica il governatore ligure Giovanni Toti, o invece bisogna far finta di essere tutti uguali?
Questi e pure altri temi - vedi le spiagge e le distanze fra un ombrellone e l'altro, ad esempio - tengono banco, perché l'emergenza economica sta pesantemente accompagnando quella sanitaria. Ecco, però, il problema: il coronavirus sta rallentando la sua marcia, a parte Lombardia e Piemonte, ma non è mica sparito. Anzi. Gli scienziati e i medici che con vario titolo e per varie ragioni si stanno occupando della questione su un punto mostrano di essere quasi unanimi: in autunno, con il riabbassarsi delle temperature, la pandemia tornerà a mordere.
Dunque, la domanda è: mentre ci si accapiglia sulla riapertura, c'è qualcuno che si sta occupando della "fase 3", cioè il ritorno delle condizioni più pericolose del contagio? Sarebbe utilissimo sapere se ministro della Sanità, assessori regionali alla Salute, direttori generali delle Asl e qualcuna delle tante commissioni sparse per il territorio nazionale stanno preparandosi e preparandoci per l'autunno.
Abbiamo fatto i conti, e ancora li stiamo facendo, con una spaventosa carenza di strumenti sanitari, quale le mascherine, i ventilatori, le camere ospedaliere di terapia intensiva e via elencando. Diciamo per la fine di settembre, il nostro governo e le nostre amministrazioni regionali - il primo costituzionalmente competente per le pandemie, le seconde a capo delle rispettive sanità - avranno tutto pronto per fronteggiare il nuovo, stavolta previsto e prevedibile assalto del coronavirus?
A me che di questa "fase 3" nessuno parli suona tanto che nessuno se ne sta occupando. O quasi. E questa non è una cosa buona. Voglio dire che le esperienze negative fatte sul campo andranno messe a frutto e mi aspetto che lo si faccia persino con semplicità. Ma non basta, ovviamente. A Milano, in zona Fiera, è sorto in breve tempo un ospedale. Si è polemizzato, sull'argomento, ma meno male che c'è. Noi liguri ci siamo dotati di una nave per ospitare i contagiati in via di guarigione: può diventare qualcosa di più? Meglio, le sue cabine possono diventare camere di terapia intensiva, tanto per dire? E per quanto riguarda gli strumenti mi fermo alle mascherine: nel Lazio pare che una commessa regionale da oltre 30 milioni si sia persa nel nulla. Dice la Regione: siamo assicurati. E chissenefrega! Il problema, qui, non sono (soltanto) i denari eventualmente persi, sono soprattutto le mascherine che vengono a mancare.
Se la regola è che ognuno deve fare il suo mestiere, allora mi aspetto che mentre chi si occupa di economia sbrogli la questione della "fase 2", chi si occupa di sanità collabori con i primi ma soprattutto affronti la preparazione della "fase 3". Affinché sia affrontata con le regole della programmazione e non dell'emergenza. Come noto a tutti, però, il tempo vola e in questa storia della pandemia abbiamo visto che il fattore tempo è determinante: prima ti attrezzi e prima fai le cose, più possibilità hai di ridurre i pericolo. E siccome tra i pericoli c'è anche la morte, non si può scherzare o crogiolarsi nella politica politicante.
economia
In autunno pandemia più forte, urge occuparsi della "fase 3"
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