Piano ambientale migliorato e copertura occupazionale totale, seppur attraverso diversi step. E per quanto riguarda Genova, piena conferma dell'intero organico. Chi può dire che l'accordo sull'Ilva, ormai praticamente in dirittura d'arrivo, potesse essere migliore non sa di che cosa parla. O è in malafede. Visti gli attuali chiari di luna, la politica italiana sarebbe in grado di esibire l'una cosa e pure l'altra, ma nella circostanza diciamo che è stata soprattutto una certa ambizione di primo della classe a segnare alcuni passaggi della polemica che per settimane ha opposto il ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro Luigi Di Maio al suo predecessore Carlo Calenda.
Anzi, per essere più precisi, bisognerebbe invertire i fattori, affermare cioè che Calenda si è opposto a Di Maio. Ora, il leader dei Cinque Stelle non è che riesca ad essere un campione di simpatia, quando ci si mette, né uno che scolpisce i suoi giudizi sulla pietra, dopo averli ben ponderati. Ma in questa storia dell'Ilva bisogna avere l'onestà intellettuale di sottolineare che Calenda certe prese di posizione, nelle interviste come sui social, poteva proprio risparmiarsele. Comprese alcune critiche strumentali al suo successore.
A cose fatte e al netto di tutte le dispute sulla qualità della gara che ha portato il colosso dell'acciaio in braccio ad Arcelor Mittal ("se è farlocca il ministro abbia il coraggio di annullarla" era la sfida di Calenda; "è piena di criticità e me lo conferma pure l'Avvocatura dello stato, ma è stata concepita in modo da non essere annullabile" era la replica di Di Maio), c'è a mio avviso una sola, banale osservazione da fare per sostenere che Calenda farebbe bene a tacere: se sia la proposta ambientale sia quella occupazionale erano così pesantemente migliorabili, perché l'ex ministro con la tessera "postuma" del Pd (l'ha presa dopo aver mollato la poltrona) non aveva portato a casa lo stesso risultato che oggi, invece, incassa il suo successore?
Sia chiaro, qui non si tratta di celebrare l'abilità del giovane ministro in carica, che pure c'è stata seppur con qualche eccesso di rischio sulla pelle dei lavoratori e del Paese intero, quanto di capire per quale ragione Calenda si accontentava di un'offerta, da parte di Arcelor Mittal, così sottostimata, alla prova dei fatti.
Non penso, sia chiaro, a chissà quale inconfessabile rapporto fra Calenda e l'azienda. Piuttosto, bisogna interrogarsi sull'elemento culturale, sulla circostanza che un (allora) ministro della Repubblica ritenesse già un successo aver coinvolto Arcelor Mittal nella vicenda, e pazienza se questo sarebbe costato un prezzo molto alto al Paese. I fatti si stanno incaricando di testimoniare che il dossier si poteva gestire diversamente. E in più l'Ilva, se ci aggiungiamo che il personale sarà riassunto da Arcelor non applicando il Jobs Act, quindi con l'Articolo 18, diventa la plastica dimostrazione delle tante ragioni che hanno condotto il Pd alla disfatta elettorale.
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Ilva, Di Maio ottiene l'accordo e il Pd incassa un'altra sconfitta
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