cronaca

E sui parenti delle vittime: "La loro dignità è stata la nostra forza"
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Il ponte Morandi il caso più difficile, il delitto ancora irrisolto di Nada Cella il più grande rimpianto professionale: il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi lascia la magistratura dopo 43 anni di servizio e si racconta in una lunga intervista a Primocanale. 

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43, come il numero delle vittime del Morandi. 4-3, il risultato della partita a tennis interrotta dalla drammatica notizia del crollo del ponte. Quello stesso 'Ponte' che era nel titolo della raffinata rivista a cui il padre era abbonato e che il giovane Francesco leggeva. "Non voglio apparire rozzo - dice Cozzi quando la telecamera si spegne - ma quei numeri e quella rivista le avverto come stravaganti coincidenze".

Dettagli di una vita passata a difendere lo Stato: "E pensare che io non volevo nemmeno studiare giurisprudenza - racconta - volevo fare il regista teatrale, forse il giornalista, magari il medico. Ma il procuratore mai. Non mi piacevano quegli uomini così pieni di sé". Ma il destino aveva in serbo uno scherzo strano: "Mi ero sottoposto a un test, per compiacere mio padre, che avrebbe dovuto svelare le mie attitudini. Mentre aspettavo il risultato il Bisagno esondò, dando vita alla drammatica alluvione del 1970: passai le settimane successive a spalare fango sotto casa mia e dalla palestra di scherma di via Ippolito d'Aste, e quando riemersi da quel periodo tremendo non c’era più molto tempo per decidere. Accontentai mio padre e mi iscrissi a legge. Gli devo tutto, lo riconosco”.

Il racconto dell’inchiesta sul crollo del Morandi è pieno di comprensibili “non posso rispondere” ma anche ricco di umanità: Cozzi si commuove quando ascolta le parole di Egle Possetti, “una donna che ci ha dato una grande forza, non hai mai messo una parola fuori posto, mai un commento sopra le righe”. E quando gli si chiede se si aspettasse l’emergere di certe intercettazioni la risposta è lapidaria: “No”.

Ma sui tempi del processo Cozzi rassicura: "Ci sono alcune prescrizioni a breve termine ma solo per i reati più lievi. La fattispecie più seria sarà prescritta dopo il 2033, c'è tutto il tempo per fare giustizia"

Il procuratore entra poi nel tema della sicurezza delle nostre infrastrutture: “Non ci può essere conflitto tra sicurezza e viabilità, i controlli devono essere puntuali ed effettuati da soggetti terzi rispetto al concessionario e non devono subire condizionamenti. Il pubblico deve essere forte, non concedere sconti né avere limitazioni: quello che sta succedendo adesso sulle nostre autostrade è figlio dell’inerzia che c’è stata negli anni passati, un atteggiamento che è stato evidentemente inadeguato a garantire la nostra sicurezza”.

Nella lunga conversazione che Cozzi ha concesso a Primocanale c’è anche spazio per molti considerazioni personali: “E’ il caso Nada Cella (la ragazza uccisa a Chiavari nel 1996, ndr) a essere il mio più grande rimpianto. Ce ne sono anche altri ma questo è probabilmente il principale: non posso dire a una madre che non sappiamo chi e perché ha ucciso sua figlia”. Cozzi ha però confermato che il caso è stato riaperto e che la speranza di dare un nome e un volto all’assassino resta intatta.

Sul proprio futuro, Cozzi sarà in pensione dal 7 luglio, il procuratore non sa rispondere: “Sono ancora nella cabina di comando e non riesco a guardare oltre, ciò che farò una volta dismessa la toga lo deciderò il 7 mattina dopo la sveglia, allora forse realizzerò che mi aspetta un percorso nuovo”.