cronaca

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Ora l'importante è ripartire, ricostruire, ricominciare con “tempestività”, come ci viene a dire anche la presidente del Senato Casellati e come ripetono, da quel maledetto 14 agosto, Giovanni Toti e Marco Bucci. Subito. Presto. Il più presto possibile, dopo il tanto atteso decreto, che sembra la tela di Penelope, mentre qui non aspettiamo Ulisse ma Genova di nuovo in piedi.

Il più presto possibile dopo la nomina del commissario, che è almeno uno di noi, il sindaco. E' anche importante che la giustizia faccia il suo inesorabile corso, velocemente come ha cominciato, efficacemente come sembra, davanti a quei 43 morti e alle tante, incalcolabili sofferenze che Genova sta vivendo.

Ma c'è un altro processo che va fatto, anche se non ha le urgenze della ricostruzione da realizzare e della giustizia ordinaria da amministrare. Come è possibile che una città pronta alla fine degli anni Ottanta a costruire la famosa Bretella Voltri-Rivarolo, per la quale c'erano già 600 miliardi stanziati sul tavolo e perfino il progetto esecutivo approvato nei dettagli (che vuol dire perfino con le cartine dei cantieri previsti), con il tracciato che tagliava la valle Polcevera nel punto più stretto e perfino gallerie artificiali, studiate per proteggere le rare abitazioni di quell'area dal rumore del traffico, possibile che quella città abbia detto no? Fu una scelta politica, oggi possiamo dire scellerata, presa da chi non voleva rompere equilibri ambientali (ma probabilmente molto più politico-elettorali) e che ha preparato il dramma di oggi e la minaccia di un declino irreversibile di quella città.

Sono passati 30 anni da allora e il traffico si è più che decuplicato e appesantito e la concessione è passata ai privati: il mondo è cambiato su quel ponte rimasto appeso ai suoi stralli. La bretella Voltri-Rivarolo avrebbe sgravato quel traffico, ridotto il logorio del viadotto, che era strutturalmente destinato a cedere, come tutte le perizie accerteranno, ma in tempi diversi e probabilmente con la salvaguardia di una cura e di una manutenzione diverse, anche facendo la tara dalle carenze della gestione Autostrade, che l'inchiesta penale sta smascherando, una dopo l'altra.

Genova sarebbe stata meno isolata, più facilmente raggiungibile e non sarebbe rimasta fino al 14 agosto 2018 ostaggio di quel ponte, continuamente rappezzato, “tapullato”, perchè non se ne poteva fare a meno. Per anni abbiamo vissuto l'incubo della città tagliata in due, se il ponte si fosse interrotto, ma senza mai pensare fino in fondo che quella interruzione poteva diventare tanto mortale e definitiva. Abbiamo convissuto con quel rischio in uno stato di semi-coscienza, come un malato terminale che non sa quanto gli rimane ancora. Avevi una terapia efficace e definitiva già pronta e sei rimasto attaccato alla maschera a ossigeno.

I processi chiariranno di chi è la responsabilità del crollo. E ci saranno udienze, perizie, interrogatori e poi una sentenza definitiva, imputati condannati. Inesorabilmente. Pagheranno con il carcere, con i risarcimenti. Ma pagheranno il crollo, risarciranno le vittime. Il ponte sarà rifatto, tutti ci auguriamo subito, con i loro soldi.

Ma chi processerà, invece, i responsabili di un ritardo di trenta anni, la grande occasione perduta, i miliardi dirottati, la città in ostaggio, la politica incapace, inefficiente, probabilmente ostaggio anche lei stessa del consenso, che ora altri politici si giocano sotto quel ponte?