politica

Il caso ligure-genovese metafora del flop nazionale
3 minuti e 30 secondi di lettura
Mentre il premier Matteo Renzi è impegnato a immaginare 80 euro da regalare ai pensionati al minimo, a far passare il non voto nel referendum sulle trivelle, a incassare la riforma costituzionale che però deve superare la forca caudina del referendum d'autunno e, infine e ancor prima, a cercare di vincere nelle principali città che andranno al voto a giugno (Milano, Roma, Napoli), il Fondo monetario internazionale riduce le stime della nostra crescita per il 2016 e l'Ocse certifica che in Italia le tasse sul lavoro continuano a crescere e ora, fra tutti quelli esaminati, il nostro Paese è al quarto posto nel mondo in questa poco invidiabile classifica.

Serve altro per dimostrare quanto il governo - nel pieno dello scandalo sul petrolio che ha provocato le dimissioni della ministra Federica Guidi e in mezzo al valzer sulla possibile revisione delle pensioni di reversibilità - si tenga alla larga dalle reali necessità delle persone?

Chi rispondesse di sì al quesito getti uno sguardo a Genova e in Liguria, dove tutte le amministrazioni a trazione Pd sembrano fare a gara nel farsi del male: dal capoluogo a Spezia, passando per Savona (dove si va al voto) e poi per Imperia e Sanremo. Ce ne fosse una che veleggia, pur tra le oggettive difficoltà della congiuntura, nel tradurre in opere il pensiero dei programmi elettorali.

Di fronte a tutto ciò, sorge spontanea una domanda: sarà che, in realtà, il Pd non è il partito al quale rivolgersi per avere la soluzione dei problemi? Che sia Pd o il Partito della Nazione di cui molti osservatori e politologi discettano, l'impressione crescente è che stiamo chiedendo a questa forza politica risultati che probabilmente vanno oltre le sue possibilità.

A livello nazionale c'è un gruppo, qualcuno la definisce una lobby politico-affaristica, che prendendo le mosse da Firenze e dalla vicina Arezzo si è impadronita dei gangli vitali del Paese. Un sistema che ha sostituito quello precedente a marchio berlusconiano, a sua volta sorto sulle ceneri della Prima Repubblica a guida democristiana (ma con la parentesi del compromesso storico prima e del consociativismo poi), ma che in realtà sembra incapace di imporsi davvero come sistema.

Infatti, un sistema, buono o cattivo che sia nei giudizi di chi lo guarda e di chi ci deve convivere, è sempre riconoscibile. Requisito che difficilmente si può assegnare al renzismo, le cui declinazioni stanno diventando tali e tante per cui le decisioni sono spesso contraddittorie, come gli slogan e la platea dei sostenitori. A farsi un giro fra gli imprenditori, categoria certo non penalizzata dal governo, si possono scoprire interessanti ripensamenti anche fra coloro che ritenevano Renzi il novello messia della politica italiana.

Tutto questo casino, non c'è altro termine per qualificarlo, sta ovviamente è sempre più nuocendo al Pd, di cui il premier è anche segretario nazionale. Un indebolimento e un distaccarsi dalla realtà delle persone che a Genova e in Liguria hanno la loro apoteosi. Ma se il Partito democratico si rivela inadeguato al ruolo, qual è l'alternativa?

Qui, a dirla tutta, la domanda rimane senza risposta. Il Movimento 5 Stelle, rimasto orfano del suo principale ideologo, per ottimisti che si voglia essere ancora non sembra pronto al cimento. E il centrodestra è un'entità indefinibile, con il tramonto ineluttabile del berlusconismo e al di là di certi colpi di coda come l'insperato successo alle regionali liguri.

Un panorama magmatico, che probabilmente riconduce alla necessità di una nuova scomposizione e ricomposizione dello scacchiere, magari partendo dalla rinuncia definitiva alla catalogazione destra e sinistra, in parte già archiviata dalla fine delle ideologie. Servono nuovi criteri e nuovi schemi, semplicemente avendo come faro le ansie quotidiane delle persone e il modo di scioglierle.

Anche le lotte di potere, come il mercimonio sessuale, sono un mestiere antico. Ma il potere per il potere non funziona più, se dimentica la cosiddetta gente. In fondo è stata proprio la principale intuizione di Casaleggio. Se fosse ancora tra noi, lo stesso Giulio Andreotti dovrebbe ammettere che oggi il potere logora prima di tutti proprio chi c'è l'ha. E il Pd cos'è se non un partito di potere?