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Senza una legge, come si sceglierà il candidato sindaco?
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#insiemenelpd è la parola d'ordine che fa da collante alla prima assemblea convocata dal commissario ligure dei dem David Ermini nella prospettiva di eleggere il nuovo segretario regionale del partito e i vertici che dovranno guidarlo alle amministrative della primavera prossima e, poi, alle comunali di Genova nel 2017. Ma di quale Pd stiamo parlando? Chiederselo è inevitabile considerando lo scontro apertosi in vista delle primarie per Napoli.

"Mi candido": è stato questo laconico tweet postato dall'ex governatore della Campania ed ex sindaco del capoluogo Antonio Bassolino ad aver acceso la miccia delle polemiche. No, lui no, è in sintesi la reazione del premier e leader del partito Matteo Renzi, perché "o viceré" rappresenta la vecchia, vecchissima politica. Con un'aggiunta ben presto rivelatasi un boomerang: "Il sindaco l'ha già fatto e non può tornare".

Proviamo a declinare la vicenda in salsa genovese: se Claudio Burlando, che a Tursi c'è già stato, decidesse di riproporsi, non potrebbe farlo per quel suo precedente? In base al ragionamento di Renzi no che non potrebbe, sebbene l'ex governatore ligure si professi renziano che di più non si può. Se, invece, potesse, allora bisognerebbe concludere che il segretario Pd (peraltro non così appassionato al burlandismo) applica le "sue" regole a seconda della convenienza.

Il punto è che appena i democratici toccano il tema delle primarie finiscono per infognarsi. È uno dei tanti limiti di una pratica che Renzi non può archiviare perché egli stesso ne è figlio, ma che dimostra come questo presunto esercizio di democrazia non possa essere lo strumento il migliore per selezionare la classe dirigente da inviare nelle istituzioni. Almeno non per com'è concepito.

Gli orrori emersi prima proprio a Napoli (primarie annullate) e poi in Liguria (inquinamento delle votazioni) stanno inducendo il Pd a rivedere, opportunamente, le regole, ma nel riscriverle Renzi è colto tentazione di modellarle secondo le necessità del momento, sbarrando la strada a chi non è in sintonia con il renzismo e, anche, a chi non garantisce il ricambio generazionale.

Per Ermini il problema non si porrà, perché la prossima assemblea nazionale dovrebbe stabilire il principio che i segretari regionali del partito saranno votati solo dagli iscritti. Questo è comunque un passo avanti rispetto all'ultima tornata, quando Giovanni Lunardon vinse grazie al "voto ponderato", ma il suo avversario - lo spezzino Alessio Cavarra - prese più voti grazie al meccanismo delle primarie aperte anche a chi con il Pd magari non ci azzeccava proprio niente (stessa dinamica della,successiva consultazione che premiò Raffaella Paita come candidata alla presidenza della Regione). Tuttavia ancora non basta.

La rivisitazione delle primarie a colpi di norme interne, infatti, continua a manifestare la debolezza intrinseca dello strumento. Perché al fondo, la questione sorta a Napoli, e che come ipotesi di scuola potrebbe nascere a Genova (chiamata a cimentarsi con le nuove regole, a meno che il Pd per primo non chieda al sindaco uscente Marco Doria di ricandidarsi, quindi con la possibilità di non celebrare le primarie) in realtà è mal posta.

Il problema non è vietare la candidatura a chi è già stato sindaco, bensì avere una proposta politica nuova e convincente e che sappia camminare sulle gambe di uomini non compromessi con il passato e che assicurino anche un giusto ricambio generazionale. Nel momento in cui Renzi mostra di voler ricorrere alle regole interne - o a indicazioni meno pressanti di moral suasion - per compiere il "rinnovamento", sembra invece drammaticamente consapevole del fatto che il suo Pd quella persuasiva proposta politica non la possiede e non sia neppure in grado produrla almeno nei tempi necessari ad affrontare le amministrative del 2016, che oltre a Napoli chiameranno al voto città quali Roma, Milano, Torino e Bologna.

Come uscirne? Fermo restando che i vertici di un partito dovrebbero assumersi la responsabilità delle scelte, pagando doverosamente il prezzo di eventuali errori (e già questo assicurerebbe un ricambio di classe dirigente), se proprio si vuole scimmiottare la pur diversissima democrazia statunitense, allora bisognerebbe semplicemente mettere mano a una legge che regolamenti le primarie.

Mesi fa, proprio sulla scia della disastrosa esperienza in Liguria, il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi concordò con il senatore ligure Maurizio Rossi un ordine del giorno, approvato dallo stesso Pd, in base al quale il governo si impegnava ad assumere le iniziative necessarie per arrivare ad un voto del Parlamento che desse alle primarie la dignità di norma dello Stato, alla quale tutti i partiti si sarebbero dovuti adeguare nel momento in cui avessero deciso di utilizzare quello strumento. Purtroppo, però, gli ordini del giorno di Camera e Senato continuano a essere delle "anatre zoppe", solo accademici veicoli di buone intenzioni delle quali sono lastricati il Paese e l'attività parlamentare. Ma all'insegna del più puro gattopardismo.