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E i quarantamila fedeli delle due squadre assistono inermi alle gesta non sempre esaltanti dei due abili mercanti
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Là dove c'era scritto Ansaldo e Ilva, ora campeggiano i loghi di Hitachi e ArcelorMittal. La Genova potenza internazionale, che un tempo piantava la bandiera di San Giorgio in Asia Minore, resta nelle targhe stradali della Foce, mentre l'avanzata delle insegne straniere dilaga in una città che discute all'infinito di rilancio, senza però trovare davvero la forza e nemmeno la voglia di praticarlo.

Questo colonialismo di ritorno affligge ormai da anni anche l'antica festa crudele del calcio. Quarantamila fedeli, abbonati allo stadio sulle due sponde, e centinaia di migliaia di appassionati assistono inermi alle gesta non sempre esaltanti di due disinvolti e abili mercanti.


Giunti da molto lontano e insediatisi dopo aver tentato di scalare altri club, l'irpino Preziosi e il testaccino Ferrero hanno trasformato Genoa e Sampdoria, società sportive con una grande storia e un fortissimo radicamento popolare, in redditizie aziende commerciali che potrebbero – per assurdo ma non troppo - fare a meno del pubblico ed essere spostate dall'oggi al domani in un'altra città, senza per ciò smettere di funzionare. Questa trasmutazione genetica, positiva dal punto di vista delle proprietà, remunera i sostenitori rossoblucerchiati con la mancia di un'infelicità senza desideri, risolta in una permanenza in serie A fine a se stessa, tenuta a distanza di sicurezza da ogni ambizione agonistica.


Al comando dal 2003, il Joker è ormai di gran lunga il più longevo presidente della storia del Genoa; vanta il primato di permanenza stabile, tredici annate, in serie A. In casa blucerchiata, er Viperetta è “appena” al quinto posto, ma lo precedono soltanto Paolo Mantovani, Riccardo Garrone, Glauco Lolli Ghetti ed Enrico Mantovani; esibisce una gestione economicamente brillante, fine però a se stessa.


L'insofferenza popolare nei loro confronti
non è mai stata così intensa come sotto queste lune, aizzata in casa rossoblù dai risultati mediocri e nella famiglia doriana dalle sguaiataggini e dalle ombre giudiziarie.


Resta da chiedersi il perché dell'ormai cronica indifferenza dei genovesi, specie di quelli facoltosi che sappiamo non mancare, verso due realtà considerate tutt'al più come oggetto di osservazione, dal posto di tribuna laterale quale massimo investimento.


Perché qui non si trova ormai nessun nativo disposto a gestire una delle due società di calcio locali, tra le più prestigiose in Italia, con un seguito popolare tanto consistente quanto dimostratosi di poche pretese? Non chiederebbero molto, genoani e doriani: trasparenza, impegno, dignità. I risultati verrebbero molto dopo, quando non siano conseguenza di queste tre doti.


Accomuna le due gradinate la nostalgia di un'identificazione reciproca tra piazza e dirigenza. Un sentimento vero, provato tra alti e bassi, con picchi di amore e di rancore, eppure assente da decenni. Qualcosa pare si muova, verso possibili avvicendamenti: ma si tratterebbe comunque di mosse “estero su estero”. Così non è esaltante che le due squadre genovesi siano sempre meno genovesi. Un segno triste, una tendenza da invertire.