cronaca

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Ma con tutti i problemi che abbiamo nel mondo, in Italia e anche a Genova, tra pandemia, crisi socio-economica e crisi di governo, dobbiamo ancora stare lì a inzuccarci con la storia del gasometro in Valpolcevera, quel reperto archeologico di rara bruttezza e di pessima immagine, sospeso sul ponte san Giorgio?





Il dilemma è veramente amletico: demolire o non demolire? Mantenerlo e trasformarlo addirittura in un museo di archeologia industriale o raderlo al suolo, liberando la valle dalla sua arrugginita incombenza?



Se ne discute da anni, da ben prima che crollasse il Morandi e che la Valpolcevera diventasse l’epicentro di un cataclisma, prima drammatico, poi di grande rilancio, di speranza.



Forse è questo lo spirito di ricostruzione che ha alimentato la quasi-decisione di mantenere il gasometro e, secondo gli ultimi autorevoli pareri della Sovrintendenza e dell’Università, di farne il perno di un’operazione-memoria.

A me francamente pare assurdo studiare progetti e investire capitali per conservare questo oggetto che farà pure parte del nostro patrimonio di archeologia industriale, ma che è difficilmente raggiungibile, scarsamente fruibile e poi è innegabilmente un obbrobrio.


Ero sicuro che lo demolissero insieme al Morandi, quando intorno al ponte c’erano tutte le competenze e le forze per realizzare l’operazione. Invece niente.


Eccolo ancora lì, di fianco alla curva del nuovo ponte San Giorgio, a risaltare per contrasto con la modernità dell’opera di Renzo piano. 



Posso capire tutte le motivazioni storico-culturali di mantenimento di un pezzo del nostro percorso urbanistico architettonico e industriale. Ma credo che la Valpolcevera adesso abbia bisogno di una altra vision, con il parco sotto il ponte, con altri insediamenti che si stanno immaginando, tra recuperi e ricostruzioni nel segno di un ambiente da ricostruire e di una modernità da insediare.



La città e la sua periferia industriale, che non si chiama più così, è piena di “oggetti” di quello storico patrimonio, ben più preziosi del gasometro, al di là della funzione museale che si vorrebbe attribuire a questo restauro.





L’elenco sarebbe lungo e anche divertente. Da decenni oramai stiamo facendo i conti con i “reperti” di un’epoca industriale, diffusi su tutto il territorio. Qualche esempio: al posto delle Fonderie Multedo una bella Coop,  al posto della Bocciardo in Val Bisagno abbiamo costruito un mercato e un grande posteggio. Al posto della Caserma dei Vigili del Fuoco in corso Quadrio, abbiamo realizzato uno dei più sensazionali “non luoghi” della città, un altro posteggio con rotatoria e un campetto di calcio a cinque. Insomma la “riconversione” di una città industriale-portuale è un problema imponente, nel quale il dilemma del gasometro può sembrare una pulce.



In realtà anche questa decisione, che impegna urbanisti, professori, ambientalisti e “filosofi”, diventa il segnale di un tema ben più colossale, che è quello del nuovo volto della città.


Avremo la grande Diga che cambierà non solo la faccia del porto, il Water  Front di Levante, che muterà i connotati della zona ex Fiera, la cerniera tra il Levante e il porto antico, l’operazione “caruggi” nel cuore di Genova. Avremo Erzelli da collegare con Sestri Ponente e con le infrastrutture. Appunto grandi temi e vogliamo perderci in quel gasometro arrugginito?