cronaca

Il “Racconto di Genova”. Le strade della politica che ha governato nel dopoguerra /9
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Si snocciola su due strade del centro città la storia tormentata della sinistra a Genova. Salita Santa Caterina e salita San Leonardo. Nemmeno un chilometro di distanza e tutto intorno i luoghi delle decisioni: Palazzo Tursi, il Comune, il Palazzo del Provincia, la Regione. Più in là, il Porto quello con la P maiuscola cioè pieno di camalli.


Curioso. Due salite Santa Caterina e  San Leonardo, che segnano anche topograficamente la fatica, gli affanni e le difficoltà di stare uniti.



Il Racconto di Genova (fra poche settimane su Primocanale) arriva in salita Santa Caterina. Sala Sivori. In un palazzo più sotto al civico 8 è nato Giacomo della Chiesa che diventerà papa Benedetto XV nel 1914.

 

E’ Ferragosto e siamo nel 1892.

Trecento delegati provenienti dai circoli operai di tutta l’Italia, racconta Ezio Mauro ne “La Dannazione”, “approfittano degli sconti ferroviari per l’Esposizione colombiana e puntano su Genova, per il primo congresso costituente di un grande partito dei lavoratori indipendenti che vuole nascere per rivendicare alla collettività le terre e i capitali e puntare alla conquista dei poteri pubblici , per liberare il lavoro”.

Il partito della sinistra non è ancora nato e già comincia a dividersi perchè socialisti e anarchici non sono d’accordo. I socialisti, infatti, accusano gli anarchici di fare ostruzionismo.

“Non vogliamo tirannie” grida Filippo Turati “fuori i despoti!”

“Siamo due partiti essenzialmente diversi – interviene Camillo Prampolini – voi siete onesti quanto noi. Ma proponiamo due vie assolutamente opposte.”

Poi invita gli anarchici ad andare a riunirsi in un altro posto.

L’anarchico Pietro Gori urla dalla platea: “Vogliamo essere liberi di portare tra di voi la nostra propaganda. Perché ci mettete alla porta?”.

E Turati ribatte: “Siamo stanchi di voi e ci separiamo!”.

La parola “separiamo” segna i rapporti all’interno della sinistra a forma di partito che sta nascendo e ricorrerà ancora parecchie volte nel corso dei decenni.

Poche ore dopo, di notte in una trattoria di salita Pollaiuoli,  i rappresentanti di 149 circoli, società operaie, sezioni e leghe convocano un’ assemblea nella sede dei Carabinieri genovesi, i fucilieri garibaldini. Si svolgerà il giorno dopo, ma senza gli anarchici.

Nasce così il 15 agosto il Partito dei lavoratori italiani, che tre anni dopo diventa Psi. Quando il governo Crispi ordina lo scioglimento di tutti i circoli e le associazioni operaie.

In realtà nel 1882 era già nato il partito degli operai, sciolto quattro anni dopo dal governo.

E trent’anni più avanti il 15 gennaio del 1921 a Livorno nel teatro Goldoni i socialisti si ridividono. E questa volta è davvero una grande, irreparabile e dolorosa scissione.

Amadeo Bordiga è durissimo: “I delegati che hanno votato la mozione della frazione comunista abbandonino la sala. Sono convocati alle 11 al teatro San Marco per deliberare la costituzione del Partito comunista, sezione italiana della Terza internazionale”.

 

Il XVII congresso, in pieno fascismo, discute i 21 punti di Lenin con le regole dell’Internazionale comunista per i partiti comunisti che stanno nascendo in Europa. Non sono ammessi compromessi tra rivoluzionari e riformisti. Mosca non li vuole più questi personaggi. I rivoluzionari se ne vanno e in un altro teatro a poca distanza, fondano il Partito comunista d’Italia, guidato da Bombacci, Bordiga, Fortichiari, con Gramsci e il genovese Umberto Terracini.

E, intanto,  a Genova che cosa è successo?

Torniamo al 1891. E’ l’anno dell’enciclica Rerum Novarum,  la lettera rivoluzionaria di Leone XIII che non tiene più separati i problemi della morale con quelli dell’economia. L’anno è permeato di fermenti popolari , che si traducono in movimenti di folla. Viene celebrata per la prima volta la festa del Primo maggio con gravi incidenti.

Il governo Crispi è caduto a gennaio e ora il marchese Di Rudinì guida una formazione di destra. Filippo Turati ha fondato la rivista Critica sociale.

Muore Rimbaud e nasce Antonio Gramsci.

A Sampierdarena  nel teatro Politeama l’operaio Carfagnoli apre il comizio e viene eletto presidente un altro operaio, Pietro Chiesa. Ci sono nel pubblico anche  molte donne. Una voce propone di andare al carcere per liberare i compagni imprigionati il primo maggio a Teglia.

Dal teatro parte un corteo. Ci sono scontri  Arriva la fanteria. La folla scappa. Scattano i primi arresti.

Ma i dimostranti arrivano a Genova. E’ un corteo imponente. I commercianti chiudono i negozi. Ci sono sassaiole con le guardie della dogana. Altri operai escono dagli stabilimenti finché si sentono colpi di fucile.

L’anno successivo a Genova si svolge la mostra colombiana  Arrivano ospiti da tutto il mondo, anche i reali. Questa volta il primo maggio trascorre tranquillo, ma in una sorta di stato d’assedio.

A Roma,  Giovanni Giolitti forma il suo primo governo. Non ha ancora 50 anni.

Il congresso socialista questa volta è un successo anche mediatico per la presenza come scrive il Decimonono “della bionda dottoressa russa Anna Kulisciov”, chiamata dai milanesi “la dottora dei poveri””.

Il cronista racconta di una riunione che a un certo punto diventa un grande pandemonio. C’è una tregua, ma quando si passa alla votazione dello statuto del partito scoppia un’altra tempesta. Volano parole grosse e spintoni tra collettivisti e anarchici.

E questa volta dopo due ore di tumulti ogni decisione viene sospesa e vengono indette due distinte  sedute.

Il 1900 è l’anno dello sciopero generale in porto. La causa è lo scioglimento della Camera del Lavoro. E’ la vicenda così drammaticamente raccontata in teatro da Vico Faggi e Luigi Squarzina in Cinque giorni al porto. Luigi Einaudi era in quei giorni dal 19 al 23 dicembre del 1900 cronista a Genova per la Stampa e scrisse articoli di fuoco: “Gli operai del porto non sono né poco intelligenti né rozzi come li dipinge la stampa conservatrice….”.

 

Il 6 luglio del 1921 guardie e carabinieri danno una mano agli squadristi a conquistare la camera del lavoro di Sestri Ponente. Anche questa volte sono cinque giornate di lotta.


La Guerra travolge tutto e tutti e a Genova, in guerra il ruolo dei partigiani comunisti è preponderante. Per esempio quello di Giacomo Buranello che a 23 anni, la sera del 13 gennaio del 1944 con un altro partigiano tendono un agguato a due ufficiali nazisti uccidendone uno e scatenando un a tremenda rappresaglia, otto fucilati tra i quali Dino Bellucci professore del Colombo e Romeo Guglielmetti, un tramviere. Li ricorda la lapide sotto il ponte Monumentale.

Il Dopoguerra è segnato dalla figura del Migliore, Palmiro Togliatti nato proprio a Genova dove il padre era funzionario scolastico il 26 marzo del 1893 in via dell’Albergo dei Poveri l’attuale via Dino Bellucci. Togliatti, come scrisse Eugenio Scalfari “fu a suo modo un moderato e un moderatore. Quella sua moderazione, quel senso del possibile …..fu sempre scambiata per tatticismo, per consumata furbizia, per inganno.  Senza di essa l’Italia avrebbe probabilmente conosciuto i lutti e la guerra civile.”

Il 1948 è l’anno dell’attentato  a Togliatti. E’ il 14 luglio del 1948. L’Italia sarà sull’orlo della guerra civile e la rivolta a Genova con tre morti sarà una delle pagine più drammatiche nella storia del nostro Paese, della città e del partito comunista.

Tra le figure genovesi di spicco del Pci negli anni della ricostruzione certamente quella di Gelasio Adamoli che fu sindaco della città  nel 1948 e che prese il posto del primo sindaco comunista della città liberata il professor Giovanni Tarello.

Ma un’altra figura genovese molto rilevante a livello nazionale fu quella di Umberto Terracini. Lasciò presto Genova, partecipò al governo della Repubblica partigiana dell’Ossola dopo aver avuto varie traversie col suo partito, in dissenso con la linea  dell’Internazionale. Già nel 1924 Terracini era stato contrario alla secessione dell’Aventino dopo l’assassino di Giacomo Matteotti, criticò Stalin e negli anni Settanta fu decisamente contrario anche al compromesso storico.

La figura del genovese doc. “I genovesi sono gente diversa – scrivono Enrico Baiardo e Marco Peschiera in Lanterna Rossa edito da Erga per spiegare l’ originalità del Pci locale in una città che nel bene e nel male ha sempre anticipato le svolte. - Davanti hanno il mare, alle spalle le montagne e nella loro sottile striscia di costa essi percepiscono soltanto due punti cardinali e hanno due sole direzioni possibili:ovest o est, ponente o levante”.

Questo confine segna la politica della città.

“In politica i punti cardinali sono invertiti: la sinistra a ponente, cioè a destra guardando il mare. E la destra a levante, cioè a sinistra. La frontiera era simbolicamente segnata dalla Lanterna: a ponente le fabbriche, il porto, gli antichi Comuni operai inglobati a forza nella Grande Genova nel 1926. La c’era la Manchester d’Italia nell’Ottocento, poi diventò una delle Stalingrado d’Italia. “

In ogni caso il Pci genovese fu emanazione di quello nazionale. Ma con Togliatti e il seguito individua una sua strada particolare che ne fa, come ancora scrivono Baiardo e Peschiera “un partito diverso all’interno dello stesso partito italiano, un’entità a sé stante nel panorama nazionale: un partito aristocratico e superbo”.

E’ la classe operaia di Genova che qualificata e istruita, non da catene di montaggio, segna questa particolarità e probabilmente anche la forza preponderante dei portuali, dei mitici camalli della Culmv, la compagnia unica delle merci varie, lavoratori e insieme imprenditori di se stessi.

Il 30 giugno del 1960 Genova con i portuali si ribella alla celebrazione del congresso del Msi al quale avrebbe dovuto partecipare l’ex podestà fascista Basile. Anche in questa occasione il ruolo del Pci è molto forte.

L’opposizione comunista alle giunte comunali di Genova guidate da sindaci democristiani, da Vittorio Pertusio a Augusto Pedullà fino a Giancarlo Piombino fu molto dura.

Finché nel 1975 ci fu la svolta e cominciò la decennale esperienza di governo della città con Pci e Psi e Fulvio Cerofolini, socialista, sindaco.

L’alleanza Pci-Psi poggiava su un gruppo consolidato di personaggi. Il primo vicesindaco Giorgio Doria e poi Luigino Castagnola, l’assessore alle Finanze Franco Monteverde, quello ai Lavori Pubblici, Renato Drovandi, Mario Calbi ai Servizi sociali, Attilio Sartori alla Cultura e poi arriverà anche lo storivo dell’arte Silvio Ferrari. Questi i comunisti e dall’altra parte i socialisti . Oltre a Cerofolini, il professor Mario Bessone all’Urbanistica e in Provincia Rinaldo Magnani. Ma soprattutto il governo si faceva da salita San Leonardo nella stanze di un palazzotto tra la antica trattoria del Genio e la casa dove avevano abitato i Piola, celebri pittori del XVII secolo. Sull’uscio era scritto: “Hostis abi, limina time”, Cioè Nemico stai lontano da qui. Abbi timore di questa casa.

Qui abitò il Pci, Un piano era riservato alla redazione dell’Unità. Di qui passarono i segretari Roberto Speciale e Graziano Mazzarello, Mario Margini, Ubaldo Benvenuti e Claudio Montaldo. Insieme ai grandi vecchi del partito come l’indimenticabile Giorgio Doria con un cognome e un antenato molto pesanti e il principe del Foro, Raimondo Ricci.

Quando il marchese Doria entrò nel partito, lui di lui nobile famiglia liberale, fu messo in lista a Montaldeo il feudo di casa con la dicitura: Doria Giorgio, agricoltore.

Una volta, parlandomi del Pci, mi diede questa semplice spiegazione: “Il Pci, come i grandi partiti nazionali deve e può piacere a tutti. Può piacere al disoccupato e al giovane, al vecchio e al bracciante e anche all’onesto imprenditore e al grande intellettuale. Se è un partito come lo ha inteso la storia civile europea, dal Settecento a oggi, non può fare una politica di marketing. Perché non si rivolge a settori determinati, ma a uomini pensanti. Un partito, un grande partito , si rivolge a tutti”.

Questo diceva Giorgio Doria, uomo da 17 mila preferenze secondo solo a Adamoli, mentre Enrico Berlinguer, il leader più amato dal popolo comunista, dopo aver registrato una Tribuna politica chiedeva turbato se era possibile rifarla per, forse, aveva alzato un po’ troppo la voce…

Vennero poi gli anni terribili del terrorismo. Berlinguer era segretario del Pci quando le Brigate rosse assassinarono Guido Rossa che era un operaio comunista. I funerali di Rossa furono un’ imponente manifestazione che portò migliaia di persone in piazza De Ferrari e il delitto segnò l’inizio della fine del terrorismo.

Il periodo 1975-1985 segnò svolte importanti a Genova, dalla rinascita del centro storico, alla trasformazione della Val Polcevera, ai tasselli decisivi per preparare la celebrazione delle Colombiane con una radicale trasformazione della città e dell’area portuale cui contribuì poi un giovane leader in forte ascesa, Claudio Burlando.

Con la morte di Enrico Berlinguer il partito entra in crisi. Berlinguer prima di raggiungere Padova dove avrà il  malore sul palco, era stato a tenere un comizio a Genova in piazza Verdi e la sera  a Riva Trigoso. Dopo Berlinguer arriva al vertice il ligure Alessandro Natta che porta sulle spalle il peso di questa difficile eredità. Natta è un uomo serio, un ligure solido con un’ immensa cultura, ma poco carisma.

Alle comunali del 1981 il Pci con il 40 per cento si conferma forte e difficilmente attaccabile. Ma sono gli anni della grande crisi del porto e di una campagna di stampa nazionale contro la Compagnia unica.

Il leader dei camalli è Paride Batini.

Fu un’aspra battaglia con Genova divisa a metà. E fu addirittura il cardinale Siri a fare da mediatore per pacificare la città nel 1989. Dal 1985 Genova non sarà più governata dalla sinistra. Il Psi che governava da piazza Posta Vecchia, sceglie la formula di pentapartito e il Pci va all’opposizione.

C’è una generazione che scompare e con questa generazione comincia a scomparire il Pci. Perde via via iscritti e questa è una discesa che non si fermerà più.

Si assiste a una specie di defenestrazione di Natta nel 1988 e viene indicato come segretario Achille Occhetto. Sarà proprio Occhetto a cambiare il partito, nel fatidico 1989, l’anno della Bolognina. Nasce la Cosa e il vecchio partito di Togliatti e poi di Berlinguer si avvia alla chiusura. Il problema del cambio del nome non è una novità. Nel 1964 ne parla apertamente in una intervista a Eugenio Scalfari sull’Espresso il segretario Luigi Longo: “Saremmo disposti a esaminare senza preconcetti anche il problema del nuovo nome che dovrebbe assumere il partito unico. La riunificazione  di tutte le forze socialiste è sempre stato un nostro obiettivo. E non è detto che questa debba necessariamente avvenire nel partito comunista.”

Arriva il 1991 e a Rimini finisce il Pci e cominciano a nascere i Ds democratici di sinistra.

Ma questa è un’altra storia. E ancora segnata dalle separazioni e con Genova ancora una volta anticipatrice o, come scrivono i giornalisti, città laboratorio.

Salita Santa Caterina e San Leonardo sono lontanissime. Vale la pena oggi di andare in via Cantore e visitare l’ archivio-museo della Fondazione Ds per ripercorrere questa importante storia della nostra città. E provare a capire quello che succede oggi senza i partiti, senza le scuole, senza regole di comportamento.

Nella foto Palmiro Togliatti e Aldo Tortorella a Genova da Lanterna Rossa (edizioni Erga)