Nel dibattito che si sta animando in questi giorni sul futuro della città, al quale stanno portando contributi personalità di grandissimo rilievo, vorrei introdurre alcune riflessioni di fondo. In primo luogo questa: come ha dimostrato la recente Conferenza Strategica promossa dal Comune, le grandi aziende, Siemens, Ericsson, ABB, Fincantieri, Ansaldo, non si pongono più il problema del “se” restare a Genova, ma del “come” restare in questa città. Come, cioè, qualificare il proprio insediamento per essere, da qui, competitivi su mercati non nazionali, ma internazionali. La sfida per l’Amministrazione è quella di concorrere a garantire le condizioni di questa competitività che è nei settori più avanzati. Dunque le scelte fondamentali, per noi, ma per tutti gli attori, riguardano non più i “se”, ma i “come” si cresce. Il Comune sta producendo sforzi significativi in questa direzione, mettendo in primo luogo ordine nella situazione caotica determinata dalla crisi industriale e dalle modalità della sua fuoriuscita. Non può essere il solo a remare in questa direzione. Sarà centrale, ovviamente, il ruolo del porto, ancora più esposto nei confronti del mondo, del mercato globale. Anche qui occorrono investimenti in tecnologia e qualità. Tutti insieme, poi, dobbiamo porci un tema: il lavoro operaio. O riusciamo a qualificare qui una nuova classe operaia, moderna, professionalizzata, che ricomincia a produrre cultura, o la città rimarrà zoppa, nel ruolo e nell’identità. In ultimo segnalo un problema: l’atteggiamento silente della borghesia genovese, che punta troppo sulle rendite immobiliari e finanziarie. Credo vada chiamata con forza ad investire di più sul lavoro, a rischiare ed a contribuire ad una crescita economica possibile e condivisa ed al dibattito che la anima e la configura. Tutti insieme possiamo fare qualcosa di importante per la città e le generazioni future.
Politica
Genova, per un futuro che guardi all'Europa
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