Marco Doria, appena fu eletto sindaco di Genova, disse con grande chiarezza che il suo primo impegno sarebbe stato rivolto al mantenimento dello stato sociale che garantiva il minimo di sicurezza ai cittadini, soprattutto alle fasce più deboli. Erano gli anni della grande crisi e la città, in precarie condizioni sociali, era sfiancata dalla tragedia dell’alluvione del 2011.
Lo stato sociale ha retto. Certo sono finiti i tempi delle vacche grasse e ormai bisogna fare i conti con una precarietà globale diventata cronica. Per questo ora è indispensabile disegnare una città diversa, più piccola, ridimensionata in tutti i suoi aspetti, meno ricca di un tempo, disincantata, con una popolazione anziana numericamente forte che condiziona i giovani, quella “città a misura di anziani dominanti” che molti anni fa, con notevole perspicacia, aveva ipotizzato il professor Lorenzo Caselli, preside di Economia.
Dobbiamo accettare la filosofia del “facciamocene una ragione”, ma questo non significa chiudere gli occhi e rassegnarsi all’agonia.
Ci sono di fronte a noi alcuni dilemmi che dobbiamo affrontare con serietà, senza da un lato diventare i “signori del No”, ma anche se trasformarci in “popolo di allocchi”. I dilemmi sono: collegamenti rapidi con Milano, Roma e la Francia; futuro dell’aeroporto; rilancio del Ponente; Erzelli e sorte dell’Università; futuro delle aree portuali strategiche; Blueprint e Fiera; Permanenza a Genova dell’Iit; nuovo ospedale.
Alcune di queste voci sono abbastanza chiare. Sui treni più veloci tutti sono d’accordo. Sull’aeroporto bisogna capire se lo si vuole davvero vendere o se è una manfrina. Il rilancio del Ponente è una partita complessa legata alla situazione dell’Ilva quindi una partita addirittura internazionale. Erzelli va avanti, ma lasciamo stare le funivie che mi riportano ai tempi in cui si voleva costruire un ponte sul porto. Giusta l’osservazione pragmatica di Furio Truzzi e dei Consumatori: puntiamo su treni, tram e metro. La domanda: dove vuole andare l’Università? merita un approfondimento a tutto campo, con dati alla mano sulle iscrizioni e strategie realizzabili. Invece che ipotizzare l’apertura di un corso di Lingua Ittita (pare che non si tratti di una barzelletta, ma l’idea sia finita in un consiglio di Lettere!) o tesi di laurea discusse al caffè, cerchiamo di offrire sbocchi realistici e confort agli studenti. Quello che accade, per esempio, nell’Università di Valencia. Iit: bene le assicurazioni, meno bene che subito dopo si ribadisca che “bisogna vigilare”. Allora di chi ci dobbiamo fidare? Aree portuali: è finita nel nulla l’idea delle Riparazioni navali a Ponente? E lo sbocco a mare di Fincantieri? Ponte Parodi che cosa diventerà? E l’Hennebique? Lo lasciamo marcire definitivamente? E l’area degradata dietro i Magazzini del cotone che, credo, appartenga al Demanio?
Infine la Fiera e il Blueprint. L’operazione va vista unitariamente e ci aggiungerei anche la sistemazione della spiaggia libera della Foce e di piazzale Kennedy. Le perplessità sono tante, alcune campate per aria, altre ben motivate.
Dunque, come avveniva trent’anni fa, Genova dovrebbe aprire una grande riflessione su se stessa: siamo diventati una città di cinquecentomila abitanti. Che cosa vorremmo essere o diventare?
L’occasione per questo confronto che potrebbe diventare un’ entusiasmante palestra di idee e richiamare l’attenzione di economisti, urbanisti, amministratori, politici, imprenditori, va fatta partire subito, insieme alla campagna elettorale per l’ elezione di un nuovo sindaco. Magari potrebbe essere la vivacità di Palazzo Ducale a metterla in moto.
Per questo sarebbe corretto anche far conoscere al più presto (non in autunno inoltrato) i nomi dei candidati. Altrimenti andremo avanti con il gioco (noiosissimo e fuorviante) dei nomi sparati a caso.
politica
Genova, né "Signori del No" né "Popolo di allocchi"
Spicchi d'aglio
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