cronaca

E sul futuro sindaco: "Dovrà essere uno libero di farsi mandare via"
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Genova? “Deve aprirsi di più, ma ha ancora tante cose positive. È facile diventare parte della città”. Detto da uno che è arrivato a Genova passando da Ravenna e Napoli vorrà pur dire qualcosa. Ugo Salerno, presidente e amministratore delegato di Rina, azienda genovese leader nel settore della certificazione navale e non solo, racconta a Primocanale la sua visione sul futuro del capoluogo e dei suoi giovani. Un’intervista realizzata da Mario Paternostro e Franco Manzitti.




Come giudica questo risultato politico? – Una parte di questo risultato era già scontata, se pensiamo a Roma o a Napoli. Sono rimasto un po’ sorpreso da Torino. Sulla valutazione della performance del sindaco uscente è stata più importante la valutazione sul sistema politico.




Secondo lei è una tendenza pericolosa? – Io di solito sono positivo verso il nuovo. In questo caso ho qualche riserva sulla preparazione ad affrontare problemi complessi. Questa è una novità che guardo con attenzione, per non dire sospetto.




Questa è una settimana complicata anche perché c’è il referendum in Inghilterra. Per un imprenditore come lei potrebbe aggiungersi altra destabilizzazione oltre a quella italiana?
– Credo di sì, addirittura la Germania potrebbe essere avvantaggiata, perché molte imprese potrebbero spostarsi lì. Ci sarà un effetto a catena, pensiamo all’Olanda, ma anche alla possibilità che la Scozia esca. Sarà una destabilizzazione con conseguenze non positive sull’economia europea, che è stata finora un grosso supporto per l’Italia.




Siamo a poco più di un anno dalle elezioni per Genova. Se dovesse fare un identikit del prossimo sindaco, come lo vorrebbe? –
Vado un po’ controcorrente: credo che chi si impegna in politica debba avere la libertà di essere messo fuori. L’età avanzata non gioca a sfavore, purché non sia troppo avanzata. Vorrei vedere qualcuno che abbia il coraggio di prendere le sue decisioni senza paura di essere messo fuori. Il sindaco non è solo un operativo, ma qualcuno che dà indirizzi strategici a una città. Vorrei una persona libera.




C’è speranza per il futuro delle imprese? – Il numero di imprenditori genovesi non è larghissimo, ma ci sono comunque begli esempi. Ci sono tante realtà che possono portare speranza. Sicuramente Genova ha vissuto tempi completamente diversi. L’impresa nata dal coraggio è stata un po’ affossata dalle imprese statali.




Lei cerca di far restare i ragazzi genovesi, magari anche nel resto del mondo? – Noi continuiamo ad assumere giovani, però quello che possiamo dire a un ragazzo è che non ci serve la mentalità ‘Vorrei andare ma poi tornare’.




Cosa sta facendo ora il Rina? – Il Rina si è trasformato negli ultimi dieci anni. Con l’ultima acquisizione, che stiamo finendo di pagare, avremo quadruplicato il nostro fatturato. Oggi siamo circa 6 mila persone, di cui 2 mila che lavorano permanentemente con noi. Offriamo due tipi di servizi: uno di certificazione e uno di consulenza ingegneristica. Parliamo di analisi di siti, piani strategici. Stiamo seguendo la mobilità urbana di Tel Aviv per i  prossimi dieci anni. Facciamo cose molto diverse da quelle che facevamo, ma la parte marittima continua ad essere strategica. Anche questa è cresciuta, non al ritmo delle altre.




Del ceppo di attività originali del Rina, cosa è rimasto in percentuale sul volume di affari? –
Dopo l’ultima acquisizione della Edith, la parte marittima rappresenta poco meno di un quarto, ma è strategico perché distintivo. Questa parte ce l’hanno poche aziende. È difficile entrare, non perché ci sia protezione, ma perché richiede investimenti che noi abbiamo fatto in 155 anni. Ci vuole competenza, tecnologia e reputazione internazionale. È il nostro dna, ci teniamo moltissimo.




Quando rivolgete lo sguardo a Genova e al suo shipping, che giudizio date? – A Genova abbiamo ancora alcune iniziative. Non è che sia addormentata, il settore è in difficoltà in tutta Italia. Genova ancora sul mare può dire la sua ed è una città molto importante.




Siamo in un momento critico, con un’alleanza strategica tra Genova e Savona, in attesa di un presidente. Come vi muovete?
– Noi, come Rina, non ci muoviamo molto sul porto. Però dico che lasciare una struttura così in un limbo, nonostante la generosità dell’ammiraglio Pettorino, deve finire il prima possibile. Sugli accorpamenti, credo sia importante avere un coordinamento tra città.




In una città un po’ ingessata non avete voglia di chiedere qualcosa? –
Vado a sfondare una porta aperta: le infrastrutture. Noi abbiamo mille persone su Genova che si muovono continuamente. E soffrono, abbiamo scali in più, un treno che per portarci a Roma ci mette cinque ore anche se si potrebbe fare in tre ore e mezza, basterebbe abbastanza poco. Questo chiederei alla città. E da parte di tutti un atteggiamento più aperto: un tassista che sappia parlare inglese, un negozio che tenga aperto un po’ di più e tenga una vetrina illuminata di notte, più accoglienza verso gli stranieri. Gli olandesi che conosco io se ne sono voluti andare via quasi tutti: non riuscivano a trovare un rapporto.




Lo chiediamo a lei che è arrivato da Napoli: sono cambiati i genovesi? – Io in realtà sono venuto da otto anni di Ravenna, poi Napoli e Genova. Non lo so, non li ho visti cambiare molto. C’è un atteggiamento prudente, ma questo non vuol dire che non si possa creare un rapporto. Ravenna, che viene da un mondo contadino, è molto più chiusa. Non si diventa mai parte della città. A Genova è molto più facile.




Del resto stiamo diventando una città turistica, saremo un po’ più aperti
– La vera crescita del turismo è in questi ultimi anni, onestamente non solo a Genova. Prenotare in albergo inizia a diventare difficile. Tante volte discuto con gli amici delle crociere, sento dire che i turisti vanno portati all’outlet di Serravalle. Io la trovo una cosa fastidiosa, Genova è tutta da vedere.




Ma siamo capaci a fare marketing? –
C’è troppa ansia da understatement.




Un cambio di generazione potrebbe servire a qualcosa?
– Dobbiamo stare attenti a non perderla. L’anno scorso abbiamo perso 5-6 mila abitanti.




E voi come cercate i ragazzi migliori?
– Di solito nelle università, iniziamo dagli stage.




Qual è il giudizio sul Jobs Act? – Per noi non è cambiato nulla, noi abbiamo sempre fatto contratti stabili. È un investimento che facciamo sui giovani, ci crediamo. Però mi pare che le statistiche dicano che ci sono più persone inserite nel mondo del lavoro. Vuol dire che un risultato ce l’ha.




Voi siete una realtà molto importante che resta a Genova, ma cosa vi spinge a farlo? –
C’è una serie di motivi, non c’entra il clima. Abbiamo 1000 persone a Genova, tutti laureati di grande valore. Potete immaginare cosa significhi spostare tutte queste persone altrove. Se perdiamo la reputazione, perdiamo tutto. Spostare il Rina non è un’operazione semplice, non l’abbiamo presa in considerazione.




È un sentimento un po’ genovese, non trova? –
No, nel nostro mondo il prezzo è relativamente importante, ma è la reputazione che ci permette di entrare, parlare, essere presi in considerazione. Se non avessimo la reputazione non potremmo fare niente.