politica

Il commento
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E così Giovanni Toti ha vinto a Genova. E’ il primo round e fra quindici giorni ci sarà un difficile ballottaggio con il candidato del centrosinistra Gianni Crivello. Ma il primo turno che serve ad assestare partiti e movimenti sul territorio offre questa sentenza: il governatore che ha fortemente aiutato il candidato manager Marco Bucci, ha fatto un altro gol.

Con questa vittoria genovese, clamorosa perché è dalle epoche storiche del mitico sindaco democristiano, Vittorio Pertusio (salvo qualche pentapartito di poco conto) che il centrodestra non vince, oggi questa area avanza e la vecchia e malconcia città, segnata da decenni di governi di sinistra, racconta la grande sconfitta. Sindaci sbagliati, progetti falliti, alleanze posticce, idea vetero di una città che, dopo la perdita delle Partecipazioni statali avrebbe avuto necessità della svolta radicale, timori di perdere consensi in una base che stava cambiando Dna. L’errore della sinistra genovese è stato questo: non aver capito niente di quello che stava succedendo. Niente, né programmi, né uomini (e donne).

Da qui la discesa e l’ascesa per contro di un malcontento che, come tutte le cose genovesi, riesce a diventare pesante, specifico, originale. Non sono mai scherzi o sorprese. Sono ribellioni dal profondo. La nascita del grillismo nella città di Beppe Grillo è stata sottovalutata agli esordi e non compresa. Genova stava crollando, anche fisicamente, la città della civile signorilità scendeva a periferia vasta e la sinistra guardava e biascicava slogan proletari o si riduceva a parafulmine di interessi di piccoli gruppi di potere.

Chi oggi afferma che questo primo risultato segna l’inizio della fine dei Cinquestelle fa un altro clamoroso errore. I genovesi hanno deciso anche di bocciare la strategia dei “no” , bandiera del M5S. Certo ora toccherà ai Cinquestelle capire bene che cosa sta accadendo e trarne le conseguenze. Ma il grillismo non finisce così, perché il malcontento e il mondo dei delusi è in crescita esponenziale. Stanno tutti in quel 52 per cento che non è andato a votare e chissà quando tornerà a farlo. Stanno nella sconfitta dei partiti tradizionali con congressi e chiappe da poltrona.

Per Toti è la conferma di essere l’unico leader nazionale moderno del centrodestra (se ne faccia una ragione Berlusconi) e l’unico in grado di “governare con” i leghisti di Salvini. Perché senza questi l’area del centrodestra italiano non potrebbe certo affermarsi.

Per il centrosinistra a Genova la lettura è complessa: Pd diventato renziano dopo le primarie, ma dove non esistono leader renziani e dove i due ministri Roberta Pinotti (franceschiniana) e Andrea Orlando (spezzino) non lasciano molte tracce del loro passaggio. Pd che il segretario Matteo Renzi sembra rifiutare, quasi non si fidasse dei genovesi, tanto da non farsi vedere nemmeno in fotografia, spedendo in loco il giovane Martina che ha un’anima vera di sinistra. Pd che primo in Italia e con largo anticipo ha segnato il grande Scisma, con un leader storico del sindacato che si chiama Sergio Cofferati. Poi seguito dagli altri e soprattutto dai bersaniani che a Genova erano vincitori incontrastati. Infine il ruolo di Pisapia che a Genova non sembra ancora essersi consolidato. Il motivo è che qui Pisapia ha solo un baluardo che si chiama Marco Doria…. Difficile, oggi, da far digerire ai genovesi.