cronaca

Per alcune tutto fermo dal 23 febbraio e senza alcun sostegno
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Non c'è pace per le discoteche e i locali da ballo: il Dpcm del Governo parla chiaro, fino al 7 ottobre stop alle danze e niente tifosi negli stadi. Ma intanto resta dimenticato il settore d’intrattenimento, che in Liguria conta oltre 5 mila lavoratori e che ancora una volta chiede risposte e aiuti concreti da parte delle istituzioni. Poco è servita, infatti, la breve boccata d’ossigeno data dalla riapertura nei due mesi estivi per tutte quelle attività che potevano contare su spazi all'aperto. Per quelle al chiuso, invece, è tutto fermo dal 23 di febbraio e i lavoratori sono a casa senza alcuna garanzia. "Non sono stati dati contributi di nessun genere, al massimo il 20% sul fatturato di aprile dell’anno scorso", racconta Ettore Bocciardo, presidente Silb Genova.


C’è chi intanto si sta riorganizzando con apericena, cene cantate o lounge bar, ma in questo momento di incertezza è difficile fare investimenti. E i dubbi sull'autunno sono ancora più grandi. Il rischio, però, è di trovarsi nell'epoca post Covid con diversi locali che non riusciranno più a riaprire al pubblico, con un danno anche per il turismo della regione. "Alla fine di questa storia metà dei locali non ci saranno più, non ci saranno più gli eventi e non troveranno di certo lavoro -dato che non ce n'è da nessuna parte- gli operatori del settore che al momento si trovano in una cassa integrazione ridicola, o almeno chi è riuscito a prenderla", sottolinea Bocciardo. Addetti alle pulizie, baristi, camerieri, security, dj, ballerini, gestori: dietro ad ogni attività ci sono persone e famiglie. 



E intanto scoppia anche la polemica sugli assembramenti 'illegali' in party privati, per cui il sindacato si appella alla politica, chiedendo di far rispettare le regole o altrimenti il sacrificio della categoria sarebbe vano. Sacrificio che comunque deve essere in qualche modo sostenuto: 'o si riapre o abbiamo bisogno di finanziamenti', è l’aut aut. "Dato che facciamo intrattenimento siamo sempre considerati di serie B e con il Covid adesso ci considerano i luoghi dei cluster", prosegue Bocciardo. "Noi, però, avevamo dei protocolli. Qualcuno non li ha rispettati e ci sono stati dei contagi, ma se trovano 100 positivi in una azienda chiudono quella azienda e non l'intero settore".