cronaca

Dai no-global ai populisti, con molti punti di contatto
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Le immagini di Washington feriscono. L’assalto al Campidoglio è il simbolo della grande democrazia americana violata e della inaspettata vulnerabilità degli Stati Uniti d’America. Ma quello che è accaduto a Capitol Hill è anche una drammatica degenerazione dei fenomeni di protesta collegati al consolidamento delle forze sovraniste in America e nel mondo. Un confronto con il passato, recente (anche se appare lontanissimo), può spiegare meglio cosa sta succedendo.

Il terzo millennio si è aperto con le grandi manifestazioni del movimento no-global culminate a Genova durante il G8 del 2001. Altri tempi, certo. Ma se andiamo a cercare le similitudini tra quanto accaduto nel capoluogo ligure vent’anni fa e quello che sta accadendo oggi, forse, potrebbe sorprenderci il constatare che ci sono quantomeno punti di contatto.

Prima di tutto la violenza contro le istituzioni. Allora c’era una zona rossa, difesa fortemente nel cuore di Genova, che ha portato all’esterno, in città, la devastazione e gli scontri. A Washington i seguaci di Trump hanno assaltato invece il Campidoglio indifeso. Ma in questi mesi abbiamo assistito anche ad altre clamorose proteste. A novembre per esempio abbiamo visto le manifestazioni dei no-mask in Germania e anche in quel caso l’obiettivo erano le istituzioni, il Bundestag di Berlino. A luglio in Serbia è andato in scena l’assalto al Parlamento di Belgrado contro le misure restrittive per il covid. Altri eventi analoghi, con conseguenze meno eclatanti, sono avvenute un po’ ovunque nel mondo.

Allargando il raggio delle proteste di oggi risultano evidenti i denominatori comuni con quanto accaduto nel 2001. Chi protesta? Chi partecipa alla rivolta? Vent’anni fa erano i no-global: le piazze erano animate da chi contestava, appunto, la globalizzazione. Oggi i rivoltosi sono riconducibili ai cosiddetti populisti e ai sovranisti. Entrambi i movimenti difendono l’identità, gli interessi, i confini dei territori e contestano i cosiddetti poteri forti: ad inizio millennio nel mirino c’erano le multinazionali, oggi il concetto è più allargato ai grandi gruppi e alle operazioni finanziarie speculative. Il tutto viene alimentato, oggi come allora, dalla paura di ampie fette della popolazione di essere vittima di disegni oscuri, di piani per favorire gli interessi di pochi, a danno dei cittadini comuni.

Naturalmente vanno fatte molte distinzioni: i populisti di oggi sono sostenuti prevalentemente dalle destre, i no-global di ieri erano più legati alle sinistre. Ma è fuorviante ricondurre queste proteste e queste rivolte alla mera collocazione politica. In entrambi i casi si tratta di gruppi eterogenei a cui hanno partecipato e partecipano anche persone in buona fede, o comunque con interessi da difendere. La degenerazione di questi movimenti è condizionata, oggi come allora, dalle infiltrazioni legate alla volontà di destabilizzare il clima politico, con atti di violenza, che hanno fortemente inquinato le ribellioni al sistema.

L’attacco alle torri gemelle nel settembre del 2001 e la conseguente crisi economica soffocò i no-global. Il G8 di Genova è diventato storia. I populisti e i sovranisti di oggi hanno coperto uno spazio vuoto. Lo fanno con assalti, manifestazioni, ma anche battaglie che scorrono sui social ricostruendo trame, foschi scenari, adombrando complotti. E con leader (che non c’erano a inizio millennio) rozzi, terra a terra, ma efficaci. Capaci di raccogliere consensi. Fantasia e paura alimentano una battaglia che ha come obiettivi apparenti i poteri forti.

Chi vuole contrastare questi movimenti, oltre a difendere meglio i palazzi delle istituzioni, farebbe bene a decifrare le esigenze di chi è attratto da queste forme di protesta. Dire ‘è tutta colpa di Trump’, non può bastare, anche se fa comodo a tutti.