cronaca

Alcuni dei 71 indagati rischiano ora fino a 10 anni
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Altre accuse vanno ad allargare l’inchiesta sul crollo del ponte Morandi di Genova, che costò la vita a 43 persone. I sensori che avrebbero dovuto monitorare il viadotto crollato il 14 agosto del 2018, non vennero sistemati a dovere.





I pm contestano, ad alcuni indagati, anche la “rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”. C’è quindi il ‘dolo’ nella condotta di Autostrade, che coscientemente, non riparò i sensori che avrebbero dovuto monitorare la stabilità del viadotto.


Gli stessi sensori sarebbero stati tranciati nel 2015, durante alcuni lavori sulla carreggiata, e poi non sarebbero mai stati sostituiti. Il tema dei sensori mancanti ha occupato anche la super perizia depositata il 21 dicembre scorso, parte centrale del secondo incidente probatorio sulle cause del crollo. La pena prevista dal codice penale per l’ipotesi aggravata “se dal fatto deriva un disastro o un infortunio”  va dai tre ai dieci anni. 


E' la nuova accusa che emerge dalle carte dell'inchiesta. In particolare, i pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno insieme all'aggiunto Paolo D'Ovidio, hanno contestato anche "la rimozione o l'omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro". Questa contestazione farà spostare la competenza da un giudice monocratico al collegio.

La contestazione si va ad aggiungere a quelle di attentato alla sicurezza dei trasporti, falso, disastro colposo e omicidio colposo plurimo (LEGGI QUI). Settantuno in tutto gli indagati.