cronaca

Il settore chiede aiuti, ma i controlli fanno emergere anche diverse inosservanze
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Oltre un milione di posti di lavoro, 300mila attività sparse in tutto il territorio italiano, un fatturato annuo di oltre 86 miliardi di euro. L'ultimo Dpcm messo in campo dal governo per fronteggiare la seconda ondata di coronavirus colpisce soprattutto il settore della ristorazione: pub, locali ecc. Movida sotto osservazione prima, limitata adesso. 


Strutture chiuse allo scoccare della mezzanotte e stop al servizio dalle 21 per i locali con posti in piedi. Poi c'è il servizio catering con le feste di fatto bloccate dal numero massimo di persone consentite (sei). E così l'intero settore si trova a fare i conti con un nuovo lockdown, almeno per 30 giorni, il tempo della validità della nuova misura. Ma il futuro verso l'inverno non lascia per ora presagire nulla di buono.

"Servono indennizzi, ristoro e casse integrazione - spiega Alessandro Cavo, presidente Fipe Liguria (federazione italiana pubblici esercizi) -. Vorremo che questo genere di provvedimento fosse accompagnato da immediati stanziamenti a favore delle aziende del nostro settore. Un settore già duramente colpito. Ricordiamo che questa estate hanno potuto lavorare bene solo le realtà delle aree più turistiche".

Un lungo locdown per gli altri, città comprese dove smart working e la 'paura' del contagio ha notevolmente ridotto le altre occasioni di fatturato. I numeri certificano questa situazione. "Le colazioni si sono ridotte del 90%, le pause pranzo e i pranzi di lavoro praticamente non esistono più" spiega ancora Cavo. Insomma, il settore è forse quello che sta pagando il prezzo più alto rispetto alle misure emanate e utili a fronteggiare l'emergenza covid. 

Le discoteche sono finite nell'occhio del ciclone già a Ferragosto, individuate come colpevoli a causa della loro natura che favorisce contatti e contagi. Immediata è arrivata la loro chisuura. Balli solo a distanza e l'ilarità dei social che si scatena. Certamente però quello dei ristoranti e locali simili è un problema non da poco da dover affrontare. In primo luogo per la natura stessa delle strutture. Esiste una oggettiva difficoltà a far mantenere le distanza dai tavoli. Ma anche quando si esce a cena affrontare una serata con un convivente ed evitare l'effetto droplet è praticamente affare impossibile.

Ok entrare nel locale con la mascherina, ok ordinare e aspettare la pietanza desiderata sempre con la mascherina addosso. Ma poi arriva il momento di mangiare. E qui ci sono due alternative: la prima è quella di mangiare in silenzio senza spiccicare parola con la persona che siede al tavolo con te. Oppure in alternativa mettersi e togliersi in continuazione la mascherina tra un boccone e l'altra. Impossibile, siamo d'accordo. E allora per forza di cose l'effetto droplet avviene in un tavolo. La distanza da un piatto all'altro difficilmente potra essere sufficiente a evitare che le goccioline finscano nel piatto vicino (se si parla). 

Poi ci sono i casi delle mancate osservanza delle regole. Una vasta operazione dei Nas condotta in tutta Italia nelle ultime ore ha poratato alla luce una serie di dati interessanti. In tutto sono stati verificati 1.898 esercizi di ristorazione e somministrazione di alimenti e bevande, quali ristoranti, pizzerie, trattorie, fast-food, pub, birrerie e bar, prediligendo i locali collocati in aree ad elevata frequentazione giovanile e ricreativa, specie in orari serali o notturni.

Nel corso dei controlli sono state contestate 351 violazioni. Nel 43% dei casi riguardavano l'uso delle mascherine di protezione facciale, mentre nel 13%dei casi si è rilevata l'assenza di informazioni e cartellonistica relativa alle cautele da adottare da parte della clientela.

Ulteriori violazioni hanno interessato nel 9% la distanza insufficiente fra tavoli, nel 9% il mancato distanziamento sociale tra le persone, nell'8% l'assenza di prodotti igienizzanti all'interno o all'ingresso dei locali nonchè l'omessa attuazione delle corrette e periodiche procedure di pulizia e sanificazione degli ambienti (3%). Ulteriori inosservanze, pari al 15%, hanno riguardato altri obblighi previsti sia da normative nazionali che regionali e locali, oggetto di autonome ordinanze, relative ad esempio alla segnaletica orizzontale sui percorsi da seguire, omessa registrazione avventori e la misurazione della temperatura corporea.

Ma non basta, i Nas hanno verificato anche le fasi di preparazione, detenzione e vendita di alimenti con contestazione di 30 sanzioni penali e 310 amministrative per violazioni alle norme igienico-sanitarie che hanno determinato il sequestro di oltre 4mila chili di alimenti irregolari, per un valore di 59mila euro, e la chiusura-sospensione di 49 locali, il 2,5% di quelli controllati. (a.p.)