“I pazienti hanno sofferto in modo estremo la solitudine, l’essere soli, noi abbiamo cercato di sostituirci alla famiglia e di dare loro quella carezza di cui avevano bisogno”. A parlare a Primocanale è la dottoressa Emanuela Barisione direttore facente funzione della pneumologia interventistica del Policlinico San Martino di Genova.
Durante la prima e la seconda ondata di pandemia si è trovata a coordinare i reparti Covid. “Io sono una pneumologa e sono abituata a vedere pazienti che fanno fatica a respirare è il mio mestiere da vent'anni - racconta - ero convinta di essere preparata ma non lo eravamo a marzo neanche da un punto di vista terapeutico mentre ora abbiamo più armi, non eravamo preparati proprio da un punto di vista emotivo: per esempio per i pazienti oncologici nei momenti di fine vita cerchiamo di agevolare il rapporto con i parenti e gli facciamo stare di notte, ma con il Covid questi pazienti arrivavano al fine vita in tempi molto rapidi cioè entravano in pronto soccorso seduti su una sedia a rotelle salutando poi si chiudevano le porte non potevano essere più visti dalla famiglia ecco lì ci siamo resi conto, con il passare delle settimane, che c'era la necessità di un contatto con i parenti per cui sono stati presi degli iPad per poter far vedere nipotini nonni per esempio e comunque per cercare di mantenere un contatto, noi abbiamo cercato di fare il possibile”.
La dottoressa, così come tutti gli altri sanitari impegnati nella lotta al Covid, fa un sospiro profondo quando le si chiedere di raccontare cosa si porterà dietro di questi mesi: “La gente si sentiva sola questa è la parte più tragica, ognuno ha sofferto la solitudine a suo modo anche chi non stava malissimo – spiega – perché all’inizio non mi vergogno a dirlo anche noi avevamo paura come tutti e stavamo poco nelle stanze invece poi ci siamo resi conto che questo virus ci ha reso più altruisti dal punto di vista emotivo-umano. Il rapporto medico-paziente, quantomeno quello che riguarda me e quelli che lavorano con me, è stato modificato, abbiamo cercato di fare un po' le veci di quella famiglia che non c'era e questa è stata una cosa complicatissima”.
La dottoressa Barisione ricorda poi una delle lettere di ringraziamento arrivate al suo reparto e inviata da un medico del 118 che ha scritto loro “Sono vivo, non a caso”. In queste parole la pneumologa legge il riconoscimento di quel rapporto umano che ha cercato di creare con medici, infermieri e oss nonostante le estreme difficoltà.
Nell’ambulatorio di follow up in chi ha superato la malattia la dottoressa Barisione racconta che osservano come "le persone spesso hanno ancora paura e non hanno più il coraggio di andare in via XX Settembre o di stare a casa da soli”.
In vista delle festività un appello a tutti: “Io vi chiedo nel rispetto di tutte le persone che non ci sono più e di quelle che hanno perso qualcuno, nel rispetto del lavoro dei sanitari vi prego di essere molto coscienziosi questo è un virus che ci ha obbligato ad essere tutti più altruisti e per essere più altruisti dobbiamo proteggerci l'uno con l'altro e mettere tutte quelle regole in atto che sono piccole, siamo abituati a regole ben peggiori, quelle piccole regole che permettono di fare in modo che non si arrivi a una terza ondata o che possa essere meno acuta”.
salute e medicina
Covid, la pneumologa: "Al San Martino una carezza per trasmettere il calore della famiglia lontana"
L'appello per le feste: "Siate coscienziosi nel rispetto di chi è morto e di chi ha sofferto"
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