cronaca

L'annuncio del premier Conte preoccupa le aziende italiane riconvertite alla produzione delle mascherine
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Il prezzo calmierato per la vendita al dettaglio delle mascherine si è reso necessario, se non indispensabile, per combattere i fenomeni di speculazione, che hanno fatto salire alle stelle l'importo dei dispositivi anti-contagio. E visto che con questo virus dovremo imparare a conviverci, il governo ha deciso di intervenire regolamentando la vendita delle mascherine cosiddette chirurgiche: il prezzo imposto al consumo non dovrà superare i 50 centesimi. 


Le perplessitià delle aziende produttrici non si sono fatte attendere. 
Dopo la conferma della decisione presa dal commissario Domenico Arcuri, infatti, a ribellarsi non sono stati solo i farmacisti: "Forse si liquida il problema pensando a una massiccia importazione dalla Cina" osserva il Cna Federmoda. Questo perché le disposizioni centrali non abbatterebbero i costi di produzione, ma  penalizzerebbero tutte quelle aziende italiane riconvertite nella produzione delle mascherine. "Il governo non tiene conto degli imprenditori che eseguono specifici controlli sulla qualità, che rispettano i diritti dei lavoratori nonché operano per la salvaguardia dell'ambiente" proseguono i rappresentanti di categoria. Stando alle previsioni, il 'Made in Italy' non può sostenere la capacità di produzione a costi così contenuti. 


Non è dello stesso avviso la task force della sanità, secondo cui la produzione di una mascherina avrebbe un valore monetario di 5 centesimi e quindi il prezzo di vendita a 0.50 euro sarebbe comunque dieci volte superiore a quello di produzione. Questi i dati forniti direttamente da uno studio condotto su cinque aziende leader nel settore, che riforniscono anche ospedali e rsa per anziani. "E' possibile che alcune aziende abbandonino l'idea di riconvertirsi perché non trovano il prezzo compatibile con lo startup delle loro attività, ma noi abbiamo fissato solo il prezzo massimo di vendita, non quello massimo di acquisto" ha replicato Arcuri nel corso di un'audizione davanti alle commissioni riunite Finanze e Attività produttive della Camera.


Secondo la Federazione Moda Italia, invece, la riconversione di alcune aziende nella produzione di tecnologie contingenti all'emergenza sembra essere l'unica soluzione - sebbene momentanea - per un primo riposizionamento economico. Un investimento che garantirebbe maggiore autosufficienza all'Italia, senza dover acquistare i dispositivi, ormai fondamentali, da altri paesi. "L'obiettivo di riportare in Italia una produzione quasi totalmente delocalizzata è un valore aggiunto, non una perdita" ribadiscono i rappresentanti di Cna. Ma il commissario all'emergenza Coronavirus ribadisce la priorità di garantire prezzi equi per scoraggiare i furbetti delle vendite. "Prima dell'epidemia una mascherina costava 8 centesimi, dopo alcuni giorni si trovavano in vendita a 5 euro", ammonisce Arcuri. 


Come aiutare le aziende italiane, già messe a dura prova dall'emergenza sanitaria? La categoria suggerisce l'abbattimento dell'Iva, la previsione di crediti d'imposta per il costo del personale, ma anche investimenti mirati alle imprese che realizzano le mascherine seguendo criteri rigorosi nel rispetto dei lavoratori e dell'ecosistema. "Per sostenere il welfare nazionale, soprattutto in tempi difficili come questi, non si può pensare di prendere una decisione così drastica senza tener conto del costo del lavoro italiano" commentano i produttori ribadendo che le valutazioni sono state approssimative e avranno ripercussioni nel medio-lungo periodo. 


Almeno una cosa è certa: oltre alle mascherine che la Regione Liguria ha spedito a ogni famiglia, ora si potranno acquistare nuovi dispositivi a costi decisamente più contenuti. Prezzi unitari che tengono conto sia delle ordinanze comunali, che ne obbligano l'utilizzo negli ambienti chiusi, sia delle difficoltà economiche di molti italiani, sempre più schiacciati dal lockdown.