Anche il mondo del tennis, che a Genova conta molti praticanti, si è fermato per Covid-19. Eppure si tratta di una delle discipline meno a rischio, forse la più sicura. Così la pensa una delle massime autorità in materia: il professor Roberto Cauda, direttore del dipartimento malattie infettive e coordinatore dell’emergenza Covid-19 del Policlinico Agostino Gemelli di Roma.
“Il tennis si gioca a venti metri di distanza - sottolinea Cauda, intervistato dal sito ufficiale della Federtennis - Non c’è contatto, non c’è vicinanza. In singolare neanche a dirlo, ma anche in doppio è difficile che i due compagni arrivino a distanze inferiori al metro, basta evitare scambi di intesa come il ‘cinque’ o gli abbracci. Il Coronavirus si trasmette prevalentemente per via aerea, quindi il rischio zero non esiste. Mai. In nessun contesto. Ma possiamo dichiarare con certezza che nel tennis il rischio è davvero ridotto al minimo".
Idem per gli eventuali contatti nello spogliatoio: "Un conto è riunire in uno spogliatoio 22 giocatori, come nel calcio, un conto è riunirne due o quattro, come nel tennis. Se si mantengono le giuste distanze, se ci si lava e ci si veste senza troppo indugiare, non ci sono problemi. Il tempo limite per stare in più persone dentro un ambiente chiuso, purché a distanza di un metro l’uno dall’altro, è considerato circa un quarto d’ora, quindi un tempo sufficiente per completare tutte le operazioni post match".
La superficie della pallina rappresenta un potenziale rischio per il contagio? “La pallina è un oggetto che rotola, rimbalza, scivola sulla terra, impatta contro la rete, contro la racchetta. Da un lato, quindi, non essendo un corpo statico, è agevolata nel liberarsi delle goccioline che dovesse raccogliere. D’altro canto però - prosegue il virologo - è un oggetto con una superficie non omogenea, leggermente solcata, che favorisce la raccolta di queste goccioline. Inoltre i due giocatori toccano la pallina a distanza di tempo molto ravvicinata. Non solo, nel tennis professionistico anche i raccattapalle vengono in contatto con la pallina. Più mani, dunque, in breve tempo sullo stesso oggetto possono in effetti costituire un rischio, soprattutto se poi si mette la mano stessa sugli occhi o a contatto con la bocca”.
“Quando si tornerà alla normalità, soprattutto all’inizio, nei primi periodi in cui gli strascichi dell’epidemia saranno freschi, è da escludere - prosegue - che il raccattapalle potrà passare l’asciugamano al giocatore. L’asciugamano deve essere assolutamente personale e gestito dalla persona che lo utilizza. L’asciugamano è un raccoglitore di goccioline di saliva e, perciò, un elemento a rischio contagio”.
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Coronavirus e tennis, il prof. Cauda: "Disciplina a rischio minimo"
Il direttore del dipartimento malattie infettive del Gemelli rassicura gli amanti della racchetta
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