cronaca

"Siamo pronti a fare la nostra parte per il Paese", dice Bonomi
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"Siamo pronti a fare la nostra parte per il Paese". Lo dice Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, intervistato da Lucia Annunziata. Sciorina anche una serie di proposte avanzate per dare corpo a quella posizione. E parla del "modello Genova", definendolo "non replicabile" ma prendendolo a spunto per le cose da fare, "in primis le riforme della pubblica amministrazione e della giustizia". Quanto ad Autostrade afferma: "Espropriare le concessioni o acquisire una società fuori dalle regole del mercato è sbagliato. Ma se ci sono dei contratti vanno rispettati, soprattutto se riguardano la sicurezza delle persone". Come a dire: i lavori per evitare il crollo del Ponte Morandi e per impedire i blocchi a causa dei molteplici cantieri di questi giorni Autostrade doveva farli e doveva farli a tempo debito. Toni pacati, ma un attacco durissimo.

Non sono parole di poco conto, quelle di Bonomi. E in qualche modo evocano Confindustria Genova. Deve scegliere il nuovo presidente e a sfidarsi sono in tre: Umberto Risso, Sonia Sandei e Sandro Scarrone, che elenco in rigoroso ordine alfabetico. Conosco solo Scarrone, uomo Fincantieri: ne ho grande stima e negli anni credo che abbia dimostrato di meritare ampia fiducia. Ma sarei intellettualmente scorretto se facessi un endorsement per lui, non avendo un raffronto, per mia ignoranza, con i due sfidanti.

E poi ciò che secondo me il nuovo presidente di Confindustria Genova dovrà fare prescinde da chi vincerà la corsa. Cioè, dovrà fare il bene della città. Sembra banale, ma domando: quale presidente fra gli ultimi ha davvero speso tutto se stesso e l'organizzazione per quell'obiettivo? Nessuno, per esempio, ha chiamato la Confindustria nazionale e chiesto appoggio per andare dal governo e dire con voce forte e univoca che ci sono infrastrutture imprescindibili da realizzare, come il Terzo Valico (compreso il quadruplicamento della Tortona, altrimenti di che parliamo?), il raddoppio ferroviario Andora-Finale Ligure, la Gronda di Genova, la Pontremolese e potremmo pure aggiungerne qualcuna. Tutto per superare l'isolamento geografico di Genova e della Liguria, che però non è un problema della regione, bensì dell'Italia e dell'Europa, se consideriamo che come minimo è interessata anche la Francia.

Si tratterebbe di fare "la nostra parte per il Paese", come dice Bonomi. Ma non mi risulta che gli imprenditori genovesi abbiano fatto qualcosa di concreto in questa direzione. Parlano molto, questo sì, però si parlano addosso. Sembrano pronti a qualsiasi mossa, poi si lasciano sopraffare dal "maniman" quotidiano e dagli interessi di bottega, piuttosto che da quelli generali. Anche se dovesse costare qualcosetta dei propri profitti. Non è un caso se un uomo della politica come Alberto Gagliardi li definì "prenditori".

Magari sarà esagerato, a volte persino ingeneroso, ma certo Confindustria Genova in questi anni, lunghi anni, non è che abbia dato una gran prova di se stessa. E quando ha gridato lo ha fatto malamente: basta pensare alla lettera dei terminalisti contro il presidente del porto, Paolo Signorini, a proposito dell'integrazione tariffaria per i "camalli". Sicuri che su questa storia gli imprenditori dello scalo non abbiano niente da rimproverarsi? Ne si può dimenticare che nulla dicono su Autostrsde addirittura li ospitano in conference call per ascoltare le loro promesse di investimenti futuri nei prossimi 20 anni e senza indignarsi per la situazione drammatica nella quale hanno messo Genova e la Liguria.


La verità è che Confindustria Genova deve cambiare passo. Anche nei confronti degli iscritti. Perché diciamoci la verità, non è che l'associazione abbia brillato pure da questo punto di vista. Al di là dell'ufficialità, basta parlarci con i singoli imprenditori per avere certe risposte sull'argomento. È così si torna a bomba: solo difendendo gli interessi generali si può poi scendere al particolare. La Confindustria Genova del 2021 ne sarà ancora capace?