Politica

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Siamo la città più intercettata d’Italia? Lo siamo perché, oggi, Genova è la città più corrotta? Se lo domandano in molti, dopo aver letto la grande saga che vede protagonisti i giovani politici rampanti (o millantatori) della baby banda delle mense. Avvocati, uomini di pubbliche relazioni, faccendieri, assessori con deleghe scarse, altri con deleghe più significative, grand commis a metà strada tra le staterie ospedaliere e i palazzi d’Oltretevere. Un gran bel panorama che puzza di marcio a un miglio di distanza e che, stando alle intercettazioni, racconta una Genova di mezze cartucce della politica e delle professioni, che si trasformano in affaristi, traditi dai telefonini e dalle chiacchiere in libertà ai tavoli di una ventina di ristoranti cittadini.

A questi banchetti le troffie si mescolavano alle mazzette, i moscardini affogavano nell’idea di poter manovrare le scelte del sindaco a vantaggio di questi Gambadilegno della sinistra che stavano mettendo intorno a Genova una rete di favori che, presi singolarmente, possono apparire di modesta resa economica, ma messi insieme, assemblati, creano un bilancio consolidato di ottime proporzioni.

Le mire di conquista avrebbero utilizzato le mense (decine di migliaia di pasti caldi) per andare alla conquista di scuole, ospedali, ospizi. In una frenetica orgia trasversale che toccava luoghi curiali e centraline ex-marxiste, al grido di “la tangente è uguale per tutti” e, soprattutto, non si ferma davanti a nessuno.

Questi ingegneri dell’appalto guidato avevano in testa, secondo le riflessioni dei magistrati, di creare un vera e propria multinazionale della mazzetta che, probabilmente, dopo l’area delle mense avrebbe potuto tracimare in altre succulente riserve.

Di ora in ora il quadro si amplia, la faccenda si ingrandisce. La bistecca si farcisce di bigliettoni, bonificati a corrispettivo di finte strategie promozionali, di altrettanto finte consulenze. Siamo soltanto all’inizio dell’operazione-fettina che, più avanti si va, diventa arrosto con contorno.

E che luogo meglio di un ristorante può fare da scenario a questa attività. Macché uffici, macché polverose stanze municipali. Meglio un bel tovagliato che, però, nascondeva cimici intriganti. Ogni cameriere poteva essere un orecchio spione. Insomma venti ristoranti di quelli dove va la gente che conta, politici che si fanno rimborsare a pié di lista, professionisti, imprenditori, quaqquaraqua. Quello in galleria Mazzini, bipartizan, destra e sinistra, genoani e sampdoriani; l’altro nella piazzetta preferito dalla sinistra tradizionale ex Pci, quello dove vai se vuoi far vedere con chi sei, poi quelli nei vicoli o l’altro da impiegati della city. Tutti con un menu standard: cimici di antipasto, primo, secondo, contorno e dessert. Ormai nelle nuove guide gastronomiche la valutazione dei locali genovesi sarà misurata a forchetta, ma soprattutto a cimici. E chi non ne ha è davvero un luogo sfigato.