cronaca

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Chiamatelo come volete. Ponte Italia? Bellissimo e vero. Ponte Paganini? Un genio ribelle, perché no? Per me sarà sempre il “Ponte di Piano”. Perché è fatto a sua immagine e somiglianza: leggero, trasparente, pulito, scarno, semplice. Nessun inutile orpello, nessun “segno distintivo”. E’ sobrio come voleva l’architetto e come sono i genovesi. Non nasconde la valle né a monte, né a mare. Il traffico scorrerà sul ponte lunghissimo di una nave d’acciaio. Il “Ponte di Piano” è figlio di questa città.

“Tra l’azzurro ed il bianco, sul fondo dei colli di un verde opaco” come la raccontava splendidamente Guido Piovene nel “Viaggio in Italia. E’ anche un ponte silenzioso. Piano ripete spesso che ama Genova proprio perché è una città silenziosa, non sguaiata. Il ponte è così. E’ giusto che sia silenzioso perché in questa storia tremenda non resta altro che il silenzio rispettoso e commosso verso quarantatré vittime innocenti. Non deve celebrare niente questo oggetto di acciaio lungo oltre un chilometro. Deve fare quello per cui è stato costruito: unire due montagne, cucire due città, quella centrale e quella del Ponente industriale.

L’operazione è quasi terminata e, per fortuna, noi genovesi non ci stupiamo più della sorprendente rapidità di costruzione. Siamo silenziosi e quando vogliamo e ci lasciano fare a modo nostro, siamo anche veloci. Di poche parole. Scriveva il Caffaro, serio cronista d’antan, che le Mura di Malapaga per evitare che a Federico Barbarossa venisse voglia di calare a toglierci la nostra autonomia, le tirarono su i cittadini genovesi tutti insieme, indistintamente, in poco tempo. “Uomini e donne tutti in Genova non ristando, dì e notte, di portar pietre ed arena, avean le mura a tal punto avanzate in soli otto giorni, che qualsiasi città d’Italia pur con lode non sarebbe riuscita ad altrettanto…”.

Era, è, il metodo Genova. E oggi nella giornata della storica ricucitura della città, in mezzo a questo innaturale isolamento che deve salvarci la vita e quindi va rispettato senza eccessivi mugugni, il metodo sperimentato, fatto di alcuni tasselli indispensabili, come l’unità di intenti di governo centrale e governo locale, dovrebbe diventare lo stile per ricominciare. Serietà, poche parole, trasparenza, rigore e rispetto della legge. Senza perdere tempo in chiacchiere, in polemiche sterili, uniti dall’unico obbiettivo di realizzare i progetti che ci siamo dati.