economia

Le mosse per indebolire l'istituto ligure con vista aggregazioni
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"Operazioni speculative non correlate all'andamento operativo della banca". La presa di posizione del top management di Carige, attraverso una nota ufficiale, è insolita. Ma proprio
questa irritualità, in mondo che per convenzione è sempre molto abbottonato, la dice lunga sull'anomalia di quanto sta avvenendo intorno al titolo del principale istituto di credito in Liguria. Nell'arco di poche settimane una botta di oltre il 20 per cento, che ha prodotto un elemento già di per se' significativo: in questo momento, se uno volesse, e potesse, si porterebbe a casa Carige pagando circa un terzo del suo valore di libro.

Cifre incredibili, ovviamente, ma che possono spiegare quello che sta succedendo in Piazza Affari. Una corsa al ribasso spiegabile solo con la volontà di indebolire il corso azionario e così preparare uno scenario aggregativo, del quale si parla da settimane, in cui Carige sia preda e non cacciatore. E questo per la semplice ragione che tolti gli istituti maggiori, la banca genovese ha dimensioni e asset tali da metterla nella condizione di negoziare al meglio ogni ipotesi di nozze. Fiaccarne la quotazione vuol dire annacquare questa forza, a tutto sventaglio di Carige.

Non solo. Far precipitare il titolo consente di creare intorno alla banca ligure un clima che spinge verso un'integrazione con la logica "dell'ultima spiaggia", anche se si tratta di una palese illusione ottica, che gli organismi di vigilanza - dalla Consob a Bankitalia - farebbero bene a denunciare per tempo, spuntando i denti agli squali del mercato che si sono messi all'opera.

Quando i vertici di Carige dicono che non c'è corrispondenza fra il titolo in picchiata e l'operatività della banca dicono la verità. Le criticità ci sono state, per la scellerata ultima fase della gestione targata Giovanni Berneschi, ma l'azione di risanamento portata avanti dal presidente Cesare Castelbarco e dall'amministratore delegato Piero Montani è stata profonda e coraggiosa, comunicata al mercato finanziario come da regole e fissando un calendario ben preciso delle mosse previste. Non c'è nulla di non detto e anzi la pulizia dei conti sta avvenendo a tappe talmente forzate da risultare anch'esse irrituali e però figlie della ferrea volontà di rimettere Carige all'onore del mondo fin da subito.

È chiaro, però, che la situazione provocata dall'aggressione speculativa sul titolo minaccia quantomeno la serenità delle parti più deboli, cioè i piccoli azionisti, gli obbligazionisti e i correntisti. Soprattutto dopo il caso delle quattro banche (Etruria, Chieti, Ferrara e Vicenza) finite in default e la storiaccia delle "obbligazioni secondarie". Una pratica che Carige, peraltro, ha smesso e che comunque rappresenta una goccia nel mare (una settantina di milioni) degli oneri dell'istituto.

Ad oggi, per espressa dichiarazione degli stessi organismi di controllo - a cominciare dalla Bce, che ha imposto una ripatrimonializzazione persino superiore alle reali necessità - la famosa casalinga dell'immaginario mediatico non ha alcunché da temere. Certo, chi possiede dei titoli azionari Carige oggi sconta una perdita, che però, giova ricordarlo, è solo virtuale. Obbligazionisti e correntisti, invece, non hanno di che temere, sempre a sentire chi sulle banche ha stretto i cordoni della sorveglianza.

Del resto, basta una osservazione banale: se i fondamentali non fossero solidi, è immaginabile che in Carige avrebbero investito imprenditori quali Malacalza e Volpi? Ovviamente no e già questo elemento deve far riflettere chi dovesse farsi cogliere dal panico. Se i due principali soci hanno messo sul tavolo ben più di un semplice cip, come si dice a poker, è perché sanno benissimo di non giocare d'azzardo.

Questo, sia chiaro, non significa che Carige non abbia i suoi bei problemi da risolvere (oltre un miliardo e mezzo di crediti in sofferenza da vendere, operazione già avviata, e finanziamenti che la tengono con il fiato sospeso come quelli al porto di Imperia o al villaggio hi-tech degli Erzelli), ma la situazione appare sotto controllo e non assimilabile in alcun modo ai disastri, quelli sì irrimediabili, di altri istituti.

È da un quadro d'insieme tutto sommato confortante che emerge l'azione speculativa di questi giorni e che ha spinto il management a esporsi con una nota che di fatto mette in mora il mercato finanziario. Quando c'è il denaro di mezzo non bisogna sorprendersi di niente, ma esistono dei limiti che pure gli squali di Borsa non devono oltrepassare. Su Carige le ultime mosse non hanno avuto freni e gli amministratori della banca lo dicono con chiarezza. Fosse successo in altri casi, oggi non ci sarebbe chi piange per aver perso tutto.