politica

6 minuti e 24 secondi di lettura
Scena prima: alle 18,50 di giovedì 9 ottobre un tweet informa che dalle 19 – cioè dieci minuti dopo - il servizio di numero verde della Protezione civile sarà disattivato. Per tutta la mattina la pioggia ha martellato, con ondate violentissime, la città di Genova. Ma secondo l’Arpal, depositaria delle previsioni meteo ufficiali e che dipende dalla Regione Liguria, non succederà nulla. La Protezione civile regionale se ne sta, di conseguenza se ne sta anche quella del Comune di Genova. E se ne stanno, ovviamente, il governatore Claudio Burlando, l’assessore regionale Raffaella Paita, il sindaco Marco Doria e l’assessore comunale Gianni Crivello (peraltro ricoverato in ospedale). Non uno che si prenda la responsabilità di andare oltre l’Arpal e imporre che la macchina dell’emergenza si metta comunque in moto. Il che avverrà in ritardo, quando ormai Fereggiano, Bisagno, Sturla e Carpi stanno esondando. Con ciò che ne deriva, compresa la perdita di una vita umana.

Scena seconda: venerdì 10 ottobre, con la città di Genova devastata dall’ennesima alluvione, uno dei subitanei pensieri dell’amministrazione regionale ligure guidata da Claudio Burlando è quello di postare sul sito ufficiale dell’ente due comunicazioni. Uno: “Elenco dei principali interventi di messa in sicurezza idraulica e di difesa del suolo”. Due: “Cronistoria rifacimento copertura Bisagno”. Per la serie: “Ma che colpa abbiamo noi?”.

Scena terza: lo stesso venerdì 10 ottobre, Burlando si presenta in conferenza stampa, con al fianco da una parte il vicepresidente Claudio Montaldo e dall’altra l’assessore con delega a protezione civile e ambiente Raffaella Paita. I due fanno le belle statuine silenti, il governatore parla, in piena pure lui. E che cosa dice? La colpa è della burocrazia, dei ricorsi al Tar e di tutti i lacci e lacciuoli che gli hanno bloccato le mani, lui che è commissario alla copertura del Bisagno. Quanto all’Arpal, il tono è assolutorio, perché gli serve per l’autoassoluzione. Il modello matematico delle previsioni ha toppato, ma Burlando ci spiega che in passato ha consentito di centrare tutti gli eventi catastrofici e semmai ha provocato qualche allerta anche quando non era il caso. Ecco un punto chiave: a nessuno, all’Arpal e in Regione Liguria, cominciando da Burlando e proseguendo per l’assessore Paita (quando ha preso la delega si è fatta dire come stessero le cose?), è venuto in mente che sarebbe anche potuto accadere il contrario, e cioè una mancata allerta quando invece sarebbe stata necessaria? Naturalmente no, ma è esattamente quanto avvenuto. Ad oggi, però, nessuno dell’Arpal sembra destinato a pagare il gravissimo errore commesso, né pagherà chi in Protezione civile regionale si è fidato ciecamente di un modello che già aveva mostrato dei limiti, né pagheranno – e ci mancherebbe! – Burlando o Paita per la colpa in vigilando che inevitabilmente dovrebbe investire chi sta in cima alla piramide. E’ un’operazione di disinformazione che tecnicamente meriterebbe 10 e lode in una virtuale pagella. Ma è da sprofondare se la si osserva con la lente di ingrandimento della morale politica. Il disastro è avvenuto per il corto circuito in Regione Liguria (leggi Arpal-Protezione civile) o per colpa di opere che comunque non sarebbero state ancora ultimate?

Scena quarta: il sindaco Marco Doria scende troppo tardi fra gli alluvionati e quando lo fa si prende ogni sorta di insulto. Sono gli oneri connessi agli onori della carica. Dal punto di vista della comunicazione, però, a lui va uno zero spaccato. Come i genovesi, anche lui e il Comune sono vittime della vergogna dell’allerta zero. Ma il marchese Doria, che come gran parte dei nobili sembra vivere su un altro pianeta, non ha nel dna il gene dell’incazzatura. Reagisce in modo surreale e si limita a dire con eleganza – noblesse oblige – che dall’Arpal non è scattato alcun allarme, anziché alzare la voce e guidare, lui che è primo cittadino, la rivolta dei cittadini contro i responsabili dell’alluvione arrivata senza alcuna rete protettiva. Poi, certo, le magagne stanno anche a Tursi: dal mancato varo dei “piani di dettaglio” per fronteggiare simili emergenze alla beffa dei premi riconosciuti ai dirigenti della prevenzione disastri. Da salvare non c’è nessuno, ma le diverse tonalità di responsabilità sull’evento non sono una sfumatura.

Scena quinta: la politica-politicante non usa le pale come gli “angeli del fango”, provvede semmai a evitare che gli schizzi le arrivino addosso. Il Burlando logorroico della conferenza stampa di venerdì ruba la scena a Paita e Montaldo? No, fa da paravento a tutto e a tutti, l’esperienza non gli manca. Montaldo è lì come vicepresidente, ma il governatore se lo sarebbe portato appresso se non avesse dovuto – e sottolineo dovuto – portarsi Paita per dovere d’ufficio, avendo lei la delega a protezione civile e ambiente? Ne dubito, anche Montaldo serve da copertura. Lo si capisce dal fatto che Paita, nei giorni precedenti tarantolata alla ricerca di consensi per le primarie del centrosinistra, letteralmente sparisce dalla scena. Non rendendosi ancora conto di quanto stava accadendo, aveva twittato la sua presenza al centro d’emergenza del Matitone, ma le reazioni non proprio simpatiche l’hanno rapidamente indotta a recedere da ogni ipotesi di “ghe pensi mi”. La rete, che osserva con attenzione, difatti ora si interroga: “Dove sei Paita?”. Lei ha fatto genericamente sapere di essere sul territorio a lavorare. Ma certo il suo presenzialismo sfrenato delle settimane e dei giorni scorsi stride con l’immersione di queste ore. Per la serie: meno mi faccio vedere, più sopravvivo alla bufera. E’ questa la capacità di assumersi le responsabilità, anche quelle che non competono se lo richiede il ruolo, di un aspirante futuro governatore della Liguria?

Scena sesta: che il “Dove sei Paita?” lanciato in rete non sia un interrogativo ozioso, lo dimostra un altro fatto. Il Pd genovese guidato da Alessandro Terrile, fra i pochissimi ad aver dimostrato di avere ancora i piedi piantati nella realtà, ha preso una iniziativa coraggiosa, chiedendo di porre fine alla politica dello scaricabarile e di riparlare delle primarie nel 2015. Quindi a gennaio. “Prima bisogna pensare a Genova” dicono Terrile e compagni, consapevoli che il partito può davvero andare a sbattere contro l’ira della gente. Del resto “guidiamo la Regione, la ex Provincia e il Comune di Genova, come possiamo chiamarci fuori?”. Un’ovvietà, non fosse che l’ovvio sembra non abitare più alle latitudini delle istituzioni locali, Regione in testa. Difatti, il capogruppo all’assemblea ligurie dello stesso Pd, Antonino Miceli, come se ne esce in una dichiarazione sul Secolo XIX? “D’accordo, ma con senso di responsabilità convergiamo sul candidato unico Raffaella Paita”.

A parte che i candidati alle primarie sono due, perché un po’ di rispetto imporrebbe di ricordare che c’è pure Alberto Villa, Miceli è lontano anni luce dalla preoccupazione che ha Terrile di veder travolto dall’alluvione anche il partito. Macché, Miceli si preoccupa di non vedere travolta la Paita e con essa la promessa di ottenere uno strapuntino in Regione anche se lui il limite dei due mandati lo ha già raggiunto. Da spalare non c’è solo il fango portato dai torrenti esondati.