sport

Il 12 agosto 1946 in uno studio legale di Galleria Mazzini nacque l'Unione Calcio
5 minuti e 16 secondi di lettura
 Certo ci fu qualche tempesta, anni d'amore alla follia. Mia cara Unione Calcio Sampdoria, nel 1964 quando nacquero Vialli e Mancini tu eri solo una ragazza. Compivi diciott'anni quel giorno nostra mamma, le strofe di taverna ci cantasti a ninna nanna. Adesso in un altro millennio quel 12 agosto del 1946 sa davvero di storia, la costituente la democrazia e chi ce l'ha. Sette paia di scarpe consumate e le vittorie e le sconfitte e le lacrime a volte anche di gioia. Salvezze, retrocessioni e promozioni, e poi una coppa e un'altra e un'altra ancora, e poi l'Europa e il tricolore sul tetto della Bianchina di Fantozzi, e la Grande Nostalgia. Guardando quel giorno di 75 anni fa col cannocchiale rovesciato, e il precipizio del tempo, ci si sente povere foglie al vento del tuo grande albero cresciuto sulla piazza di San Pier d'Arena.

Io e te, io e te che ridevamo. Che cosa resta dei nostri amori? Alla fine la Sampdoria è qualcosa di molto diverso dalla Sampdoria: riguarda i nostri ricordi, le nostre amicizie, i treni e i pullman e le navi e le sigarette mangiate in fretta, chilometri e chilometri per sventolare una bandiera in uno stadio straniero. Le partite di calcio, i gol e le vittorie, erano soltanto il fondale e la colonna sonora delle nostre giovinezze, che si riaccendevano ogni volta che comparivi sul verde.

Forse il ricordo di quel maggio ci insegnò anche nel fallire il gusto del rigore, il culto del coraggio. Il guardiano notturno del museo guarda i ritratti alle pareti e si chiede: chi sarei stato, se non avessi visto i volti di coloro che vissero prima di me? Ognuno custodisce i suoi ricordi: i padri fondatori videro Bonetti, Bassetto e Baldini; e poi Ocwirk e Cucchiaroni, “Bisontino” Cristin e Vieri padre e il capitano Salvi, e poi trafitti da un raggio di sole e fu subito Alviero. E poi un tuffo dove l'acqua è più blu, niente di più. La ragazza del 1946 ci portò a vedere Natale alla fine di maggio. Ma come fan presto, amore, ad appassire le rose; e certi giorni sono un anno e certe frasi sono un niente: soltanto l'11 luglio 2021 si è disvelato tutto il senso di quell'inutile avere dolore di ventinove anni prima, in quella notte di maggio in cui vedemmo l'amore vicino da poterlo toccare.

In mezzo a mille persone, stazione dopo stazione. Ogni 12 agosto ci troviamo sugli argini, e ci contiamo, e manchi sempre tu. È un deserto pieno di voci la gradinata del cuore, dove ci manca l'assenza di un padre un amico un fratello che è più di un fratello. Perché la Sampdoria non erano le partite della Sampdoria, ma erano le partite della Sampdoria viste insieme con queste persone che adesso sono soltanto vento. Una sola moltitudine unita e poi divisa, sbaragliata e distratta: a soffiare nelle vele di un piccolo naviglio, di domenica in domenica e poi anche di mercoledì. Le sconfitte le vittorie e le mie poesie. Due bambini che vivevano in un sogno che non si ripeterà. Eppure basta chiudere gli occhi e guardare: ecco la vecchia gradinata scoperta, la curvetta, il cartello del bar dei tifosi dal palato fino, le fontanelle ai piedi dell'elicoidale. I lunghi inverni del nostro scontento. Gli anni Settanta che furono l'educazione sentimentale di molti di noi, la casa alla quale torniamo perché era piccola e fredda ma era stata casa nostra, in via Gluck.

E poi arrivò il mattino, e col mattino un angelo, e quell'angelo eri tu.
Per ogni compleanno, il tempo che arriva si impiglia nel tempo che è stato, il vento scompiglia le pagine di un libro di campioni, promesse, fugacità, occasioni colte e altre perdute, insomma lo sport o meglio la vita attraverso il calcio. La Sampdoria è la sola squadra al mondo ad avere quattro colori nella maglia, nessun'altra squadra ha una maglia come la sua, il suo nome fu tirato a sorte e agli inizi lo scrivevano col trattino. L'apostolo Pietro è una lettera delle nove, l'ammiraglio le ultime cinque. Ognuno riconosce i suoi: dei ragazzi dello scudetto tutti amano i gemelli, ma il più grande di sempre è stato il Bergorusso. Che l'altro giorno è venuto da Como per niente, a salutare padre Mario. E a Como l'altro ieri sono andati Enzo e Spigoli a salutare Fabio. Perché la sabbia scorre nella clessidra infoltisce i saluti, ma può passare il tempo e siamo sempre noi.

Il mondo non si è fermato mai un momento. La Sampdoria ha cambiato nomi e volti e numeri e anche bandiere, i fogli si sono staccati dai calendari che si sono staccati dalle pareti che si sono staccate dalle case che si sono staccate dal paese che si è staccato da se stesso. Eppure qualcosa rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure. La vecchia ragazza del Quarantasei, nata in uno studio di Galleria Mazzini (nella foto, i Padri Fondatori) dopo infinite discussioni al Bar Roma di piazza Vittorio Veneto, è sempre rimasta quella della radiolina che dice “tira Salvi... gol!”, una canzone che fluttua nell'aria della val Polcevera. Figurine, filmati, cimeli, un museo d'ombre che splende come un diamante in mezzo al cuore.

Come se dopo tanto amore bastasse ancora il cielo. La Sampdoria naviga ancora, sulle onde del tempo, in un mare inaridito e vuoto, diciamo pure nel disincanto e nello spaesamento degli esuli in patria. Ma scarpe rotte eppur bisogna andar. Il calcio di oggi non è più quello del 1946, di quella partita del 22 settembre sulla riva sinistra del Tevere contro la Roma. Migliaia di partite e di reti dopo, restano quei colori. Una lettera al primo amore che basta rileggerla e ci si ritrova sul posto dell'appuntamento che ha tracciato una delle strade della vita. S come Sampdoria, S come la Sara di Dylan, Lovin'you is the one thing I'll never regret, averti amato è la sola cosa di cui non mi pentirò mai.

Noi non sappiamo quale sortiremo domani, oscuro o lieto: il tuo compleanno cade sempre a ridosso dell'avvio di una nuova stagione, con le paure e le scommesse, questa volta quanto durerà. E allora buon compleanno Sampdoria: è stata rabbia, è stata poesia, è stato sempre un sogno.