cronaca

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 Di Gianni Bonelli, scomparso a 89 anni, dopo una vita intera nella politica e poi nella distaccata osservazione di quel che ne era rimasto, non si ricorderanno epici discorsi, complicate orazioni, comizi alti sonanti o messaggi ridondanti e fiere prese di posizione in quello che fu l'intricato agone politico anni Settanta-Ottanta- Novanta. Piuttosto verranno alla mente i suoi espressivi borbottii, i suoi silenzi più densi di qualsiasi elucubrazione, i suoi giudizi trancianti, le battute folgoranti, ma mai urlate. Bonelli nasceva avvocato di poche parole e di grandi mediazioni, cresciuto alla scuola di Giovanni Borgna, il mitico compagno di banco di Paolo Emilio Taviani che ne raccomandò gli uffici al PET, nel momento del suo maggiore potere a Genova, in Liguria, ma sopratutto a Roma nella Dc universale dei cavalli di razza, del governo assoluto e totale,

Ci voleva un baricentro genovese e ligure per il superministro, abituato a passare da un dicastero all'altro a Roma e a controllare il territorio nazionale. Bonelli fu questo nei decenni successivi a quelli eroici del Dopoguerra e della Dc ancora monolitica e prima del centro sinistra. Il timone ligure lo seppe conquistare con la fedeltà, ma sopratutto con quella capacità di mediare, interpretare le evoluzioni della politica locale in un lungo tourbillon nel quale cambiavano i pesi e le misure dei protagonisti scudocrociati, ma anche degli altri partiti.

La gamma dei fedelissimi tavianei era folta e variegata: da Piombino a Cuocolo, da Cattanei, a Dagnino a Bottino, da Di Pasqua a Gualco, che divenne l'alter ego di Bonelli. A Roma di fianco al ministro c'erano Paccagnini e Olimpio, prima che arrivasse Giraldi. A Genova c'era sopratutto Bonelli, che Giampaolo Pansa, grande cronista dei quegli anni sul Corriere della Sera effigià in un memorabile servizio sul potere tavianeo,, raccontando delle sue trasferte nel cuore della Dc, tra mari e monti e pianure, dalle quali l'avvocato tornava "cantando" per la coscienza di avere fatto bene il suo dovere di luogotenente. Bonelli era ispido, burbero, anche scostante ma affidabile. L'ultima parola era sempre la sua e difficilmente si smentiva, se non nei casi estremi delle evoluzioni di quella politica.

Conosceva bene i "suoi", ma anche gli altri, i Meoli, i Magnani, i Fossa socialisti, ma anche i Carossino, i Bisso, gli Speciale, i Mazzarello, i Gambolato del Pci.

Non era facile nel tempo essere il baricentro di Taviani, mentre la politica cambiava, mentre la Dc cambiava, quando addirittura venne De Mita a fare il capolista in Liguria mentre Taviani si defilava nel suo nobile seggio di Chiavari. Bonelli superò anche quel passaggio, che lo vedeva arretrare rispetto al nuovo dei Peschiera e dei Gagliardi. Ma lui restava sempre lì, accanto a Taviani, baricentrico, forse con qualche brontolio in più.

Poi venne anche Tangentopoli con il suo carico di dolori, anche per quella parte di Dc baricentrica e sempre più lontana dal vecchio potere universale. Ne soffrì molto il Bonelli della storica roccaforte scudocrociata, della Balena Bianca oramai prossima a spiaggiarsi definitivamente. Ma l'orgoglio di quello che era stato e la memoria esatta dei protagonisti e dei fatti gli è sempre rimasta ben chiara, mentre con lo sguardo, nella sua bella casa di Carignano, accarezzava la mirabile collezione di filigrana che era il suo pudico vanto.