politica

Voto vietato a minori e stranieri non iscritti nelle liste elettorali
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Primarie vietate ai minorenni e agli stranieri che non siano regolarmente iscritti nelle liste elettorali ufficiali. A Savona, per la sfida tra Cristina Battaglia e Livio Di Tullio, il Pd prova a mettere un argine al pericolo di brogli. Bruciano ancora sulla pelle i fattacci visti alle Primarie per le regionali liguri dello scorso anno e sono una nuova ferita aperta i recentissimi fatti di Napoli. Che puntualmente ha ripetuto il rito scandaloso dei voti comprati e venduti.

Il passo avanti c'è, ma è ancora piccolissimo. Anche se basterà per portare Savona sotto i riflettori e vedere l'effetto che faranno due piccoli accorgimenti, destinati comunque a migliorare l'esercizio di democrazia al quale i democratici si appellano, avendo i loro vertici, nazionali e locali, ormai perduto la capacità di prendersi la responsabilità di decidere le candidature. Al punto da doversi domandare che cosa ci stiano a fare, se il governo del partito deve avere una simile natura "assembleare".

Solo un piccolo passo. Perché nessun argine viene posto al principale dei brogli possibili, quello che porta ai seggi del Pd e del centrosinistra truppe cammellate organizzate da esponenti del centrodestra o da ambienti, economico-finanziari come lobby di potere, che nulla hanno da spartire con quel partito e quella coalizione.

Sia chiaro, di questo non si può fare alcuna colpa ai dirigenti Dem savonesi. Loro il massimo sforzo lo hanno prodotto: per cambiare la regola delle Primarie aperte, facendole diventare chiuse, cioè riservate agli iscritti o comunque a votanti che realmente appartengono al centrosinistra, occorre una correzione dello Statuto. E solo l'assemblea nazionale "piddina" è abilitata a una simile decisione. Figurarsi. È stata bellamente disattesa anche la modifica che avrebbe dovuto restringere il campo di gara per le segreterie regionali: l'argomento era iscritto all'ordine del giorno, ma è stato totalmente ignorato. E non risulta che possa essere ripreso all'assise del prossimo luglio.

Qui si tratta di una scelta consapevole e voluta dal premier e segretario del Pd Matteo Renzi. Ha scalato il partito e il governo proprio appoggiandosi ai voti esterni delle Primarie aperte e su questo stesso schema punta a vincere il referendum d'autunno sulle riforme costituzionali e, ancor prima, le elezioni a Milano, a Roma e a Napoli. La sua stessa maggioranza parlamentare raggruppa nei fatti una frangia ben identificata di centrodestra, cioè i verdiniani di Ala.

Per carità, è vero che ormai Destra e Sinistra sono categorie politiche da ritenersi superate. Ma dietro il lessico ci sta la visione di come i problemi si risolvono. Si può partire dalla base comune della diagnosi, ma la terapia non può essere convergente. Non sempre almeno.

L'esempio più semplice può venire da sindacati e imprenditori. Entrambe queste forze sociali convengono che l'Italia deve crescere di più, ma i primi proporranno soluzioni tese ad aumentare le retribuzioni e la tutela dei diritti dei lavoratori, mentre i secondi avranno come primo obiettivo l'incremento dei ricavi e dei loro profitti. Nulla di scandaloso, semplicemente ognuno fa il proprio mestiere e persegue i propri legittimi scopi.

Quello che non si capisce è il fine ultimo del Pd delle Primarie, in relazione a quello che dovrebbe essere il bene delle collettività, cioè il compito principale al quale la politica dovrebbe accingersi quotidianamente. Come da promesse elettorali, puntualmente reiterate in ogni talk show anche dal più marginale degli esponenti.

Tutto si capisce benissimo, al contrario, se ogni mossa si riduce alla conquista e/o al consolidamento prima del consenso e poi del potere. Personale e di consorteria. Ci può stare, ma almeno non vengano a dirci che Nostro Signore, inchiodato sulla Croce, in realtà è stato ucciso dal freddo.